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Greenreport: economia ecologica e sviluppo sostenibile


Per i consumatori europei diritto alla riparazione più facile e vantaggioso
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Con 584 voti favorevoli, 3 contrari e 14 astensioni, il Parlamento europeo a approvato in via definitiva la direttiva sul "diritto alla riparazione" per i consumatori, una tappa dell’impegno dell'Unione europea per estendere la durata di vita dei prodotti, ridurre i rifiuti e promuovere un'economia più sostenibile e circolare. Le norme forniscono chiarimenti sull'obbligo per i fabbricanti di riparare i beni e incoraggiano i consumatori a prolungare il ciclo di vita di un prodotto attraverso la sua riparazione e integrano le iniziative dell'Ue sulla progettazione ecocompatibile e sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde.

In una nota l’Europarlamento spiega che «La nuova legge Ue obbliga i fabbricanti di prodotti al consumo a fornire servizi di riparazione tempestivi ed economici e a informare i consumatori sul loro diritto alla riparazione. Le merci in garanzia legale beneficeranno di un'ulteriore estensione di un anno, incentivando ulteriormente il consumatore a scegliere la riparazione anziché la sostituzione. Una volta scaduta la garanzia legale, il produttore sarà comunque tenuto a intervenire sui prodotti domestici più comuni, che sono tecnicamente riparabili ai sensi della normativa UE, come lavatrici, aspirapolvere e smartphone. L'elenco delle categorie di prodotti potrà in seguito essere ampliato. I consumatori potranno anche prendere in prestito un dispositivo mentre il loro è in riparazione o, in alternativa, optare per un apparecchio ricondizionato».

Ai consumatori verrà offerto un modulo europeo di informazione per aiutarli a valutare e confrontare i servizi di riparazione (specificando la natura del difetto, il prezzo e la durata della riparazione). Per facilitare il processo di riparazione, verrà creata una piattaforma online europea con sezioni nazionali per aiutare i consumatori a trovare facilmente negozi di riparazione locali, venditori di beni ricondizionati, acquirenti di articoli difettosi o iniziative di riparazione gestite dalla comunità, come i repair café (caffè delle riparazioni).

Inoltre, le nuove norme puntano a rafforzare il mercato delle riparazioni dell'UE e a ridurne i costi: «I produttori dovranno fornire pezzi di ricambio e strumenti ad un prezzo ragionevole e non potranno ricorrere a clausole contrattuali, tecniche hardware o software che ostacolino le riparazioni. In particolare, non potranno impedire l'uso di pezzi di ricambio di seconda mano o stampati in 3D da parte di riparatori indipendenti, né potranno rifiutare di riparare un prodotto solo per motivi economici o perché è stato precedentemente riparato da qualcun altro. Per rendere le riparazioni più accessibili, ogni Paese membro dovrà attuare almeno una strategia per promuovere le riparazioni, ad esempio buoni d’acquisto o fondi per la riparazione, campagne di informazione, corsi di riparazione o sostegno agli spazi di riparazione gestiti dalla comunità».

Quando la direttiva sarà stata formalmente approvata anche dal Consiglio e pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, gli Stati membri avranno 24 mesi di tempo per recepirla nel diritto nazionale.

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Tra Pisa e Pescia sta nascendo il primo approccio Agricoltura 4.0 per i vivai
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L’Università di Pisa ha siglato un accordo con Fastweb, Zelari Piante e Netsens che dà il via al progetto Vinstein, promosso con un bando della Regione Toscana finanziato per due anni con le risorse del Fondo sociale europeo+ 2021-2027.

«L’accordo – spiegano dall’Ateneo – prevede la creazione di un ‘AgriLab’ in cui verrà testata e validata la soluzione Internt of things di Agricoltura 4.0 che rappresenterà la prima e sinora unica soluzione in Italia specifica per l’ambito vivaistico. L’Agrilab sarà costituito da tre siti sperimentali: due presso sedi universitarie di Pisa e uno all’interno del vivaio Zelari di Pistoia».

Il sostegno tecnologico di Fastweb  e Netsens deriva dall’ambizione di migliorare l’efficienza operativa e ridurre l’impatto ambientale nel settore del vivaismo, facendo leva su tecnologie come sensoristica avanzata, edge computing e 5G, per ottimizzare l’uso delle risorse nei vivai e a produrre piante più sane e resistenti, riducendo il consumo idrico e l’impiego di fertilizzanti e agrofarmaci.

«Vinstein rappresenta un’unicità tecnologica e un’eccellente opportunità per il settore del vivaismo di abbracciare l'innovazione e la sostenibilità – spiega Cristina Nali, vice-direttrice del dipartimento di Scienze agrarie dell’Ateneo pisano – Grazie alla collaborazione tra istituzioni accademiche, aziende tecnologiche e produttori agricoli, il progetto mira a trasformare radicalmente il modo in cui vengono coltivate e gestite le piante, promuovendo un approccio più intelligente ed efficiente. È questa la risposta dell’agricoltura alla sfida del cambiamento climatico e della sostenibilità».

Lo step successivo permetterà di realizzare una soluzione replicabile, scalabile e applicabile anche ad altri tipi di colture, oltre ad essere economicamente accessibile per l’intero network di imprenditori agricoli.

«Produciamo piante da oltre 70 anni all’interno del distretto pistoiese, conosciuto nel mondo come la capitale del verde – conclude Andrea Zelari, legale rappresentate di Zelari piante – La nostra vastissima gamma di piante ornamentali da esterno ci ha permesso di soddisfare le attese di verde in tutta Europa. Ma le condizioni meteorologiche e la scarsità dell’acqua, elementi fondamentali nel nostro settore, hanno subito un cambio epocale che ci obbliga ad operare diversamente. L’unione tra natura e tecnologia sviluppata in questo progetto apre una nuova strada piena di speranze».

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Terna, nel primo trimestre 2024 installati in Italia +1,8 GW di impianti rinnovabili
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Nei primi tre mesi del 2024 l’Italia ha visto entrare in esercizio +1,8 GW di impianti rinnovabili – quasi esclusivamente fotovoltaici, pari a 1.721 MW –, con una crescita del 52% rispetto a quelli installati nello stesso periodo del 2023.

Un trend che resta comunque ampiamente al di sotto dei quantitativi necessari per raggiungere gli obiettivi europei di decarbonizzazione al 2030. All’Italia servirebbero infatti circa +12 GW l’anno, mentre continuando a questo ritmo il 2024 si fermerebbe a +7,2 GW (contro i +5,7 del 2023).

In compenso, le mutate condizioni climatiche – in particolare l’aumento delle piogge rispetto all’inizio dell’anno scorso – hanno permesso di tornare a una maggiore penetrazione delle fonti rinnovabili nel mercato nazionale.

In base ai dati comunicati da Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, lo scorso mese la domanda di energia elettrica italiana è stata soddisfatta per il 79,6% dalla produzione nazionale, pari a 20,7 miliardi di kWh.

Le fonti rinnovabili hanno coperto il 41,8% della domanda elettrica (era il 33% a marzo 2023). In aumento la fonte idrica (+140,4%), fotovoltaica (+1,4%, la crescita della potenza installata è stata parzialmente compensata dal minor irraggiamento nel periodo considerato rispetto allo scorso anno) e geotermica (+4,1%). In diminuzione la fonte eolica (-5,7%) e anche la fonte termica come diretta conseguenza della crescita di rinnovabili e import dall’estero: -24% rispetto a marzo 2023.

In particolare, si osserva il crollo della produzione a carbone: -87,1% in confronto allo stesso periodo dello scorso anno, quando le centrali alimentate dal più inquinante dei combustibili fossili erano tornate alla ribalta a causa della crisi energetica alimentata dall’invasione russa dell’Ucraina.

Più in generale, a marzo i consumi di energia elettrica in Italia sono in diminuzione dell’1,4% rispetto allo stesso mese del 2023, con un fabbisogno di energia elettrica è stato pari a 25,7 miliardi di kWh.

Il dato della domanda elettrica, destagionalizzato e corretto dagli effetti congiunti di calendario e temperatura, fa però ribaltare il segno della variazione (+1,1%).

L’indice Imcei elaborato da Terna, che prende in esame i consumi industriali delle imprese cosiddette “energivoreâ€, ha fatto registrare una diminuzione del 5,2% rispetto a marzo 2023, che si riduce a -2,3% osservando il dato destagionalizzato e corretto per l’effetto calendario.

L’indice Imser, che Terna pubblica sulla base dei dati dei consumi elettrici mensili forniti da alcuni gestori di rete di distribuzione (E-Distribuzione, Unareti, A-Reti, Edyna e Deval), ha fatto registrare, nel mese di gennaio 2024, una variazione positiva del 5,2% rispetto a gennaio 2023.

Infine, nei primi tre mesi dell’anno il fabbisogno nazionale risulta in crescita dello 0,7% rispetto al corrispondente periodo del 2023 (invariato il valore rettificato).

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Ue, con l’approvazione del nuovo Patto di stabilità si riaffaccia lo spettro dell’austerità (VIDEO)
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Il Parlamento europeo ha approvato ieri in via definitiva la riforma del Patto di stabilità, aggiornando i parametri che dagli anni ’90 hanno guidato lustri di austerità in Europa, sospesa durante la pandemia. Le nuove regole assicurano agli Stati membri maggiori margini di flessibilità, ma finiranno inevitabilmente per impattare sugli investimenti pubblici necessari (anche) alla transizione ecologica.

«Abbiamo da un lato la prospettiva di ridurre il debito e il deficit accumulati a causa dei cigni neri», della pandemia di Covid-19 e dall'invasione russa, ha spiegato il commissario europeo per gli Affari economici – Paolo Gentiloni – nelle dichiarazioni raccolte dai microfoni di TotalEu production, l’agenzia europea di videonotizie con cui greenreport.it ha avviato una collaborazione editoriale.

«Dobbiamo rafforzare la crescita attraverso il recupero del potere d'acquisto, il calo dell'inflazione e il mantenimento degli investimenti pubblici», ha aggiunto Gentiloni parlando agli eurodeputati riuniti per l'ultima sessione plenaria della legislatura: «L'adozione della riforma consentirà la presentazione del primo ciclo di piani fiscali-strutturali a medio termine già quest'anno, dando luogo a una riduzione graduale del debito pubblico senza compromettere la crescita favorendo la protezione degli investimenti pubblici, più che mai necessari per finanziare le transizioni verdi e digitali».

Di fatto restano però in piedi i parametri di Maastricht: gli Stati membri dovranno contenere il debito pubblico entro il 60% del Pil, e il rapporto tra deficit e Pil entro il 3%.

I Paesi con un debito eccessivo – come l’Italia – saranno tenuti a ridurlo in media dell'1% all'anno se il loro debito è superiore al 90% del Pil, e dello 0,5% all'anno in media se è tra il 60% e il 90%. Per quanto riguarda invece il deficit, se il disavanzo di un Paese è superiore al 3% del Pil, dovrebbe essere ridotto durante i periodi di crescita per raggiungere l'1,5% e creare una riserva di spesa per periodi con condizioni economiche difficili.

Gli Stati membri dovranno presentare i loro primi piani nazionali entro il 20 settembre 2024, per poi negoziare con Bruxelles la riduzione del debito in un orizzonte di quattro o sette anni; secondo le prime stime filtrate in materia, per l’Italia potrebbe significare tagli compresi tra 8 e 15 mld di euro l’anno alla spesa pubblica.

«La nostra richiesta agli Stati membri è di presentare il piano intermedio entro il 20 settembre – conferma Gentiloni a TotalEu – Naturalmente, sappiamo tutti che si tratta di una prima volta e quindi ci sarà un certo grado di flessibilità. La decisione di iniziare l'attuazione delle nuove regole nel 2025 è stata presa e ampiamente condivisa dagli Stati membri. Non è stata quindi una decisione imposta dalla Commissione agli Stati membri. E se vogliamo iniziare ad attuare le nuove regole l'anno prossimo, dobbiamo avere i piani a medio termine quest'autunno».

Dall’Europarlamento assicurano che le nuove norme del Patto di stabilità sosterranno la capacità di un governo di investire, e che sarà più difficile per la Commissione sottoporre uno Stato membro a una procedura per i disavanzi eccessivi se saranno in corso investimenti essenziali. Il piano atteso per settembre costituirà una prima, concreta base per valutare l’effettiva concretezza di questo orientamento.

«Chi ha il deficit più alto ha una sfida più complicata. Ma detto questo, con le regole esistenti la sfida sarebbe forse molto, molto difficile da attuare. Con le nuove regole sarà più compatibile», assicura Gentiloni.

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Prato, come evitare gli allagamenti a San Paolo? Da Publiacqua un progetto da 20 mln di euro
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«Il quartiere San Paolo a Prato è storicamente lo specchio di un problema con il quale da molti anni ci troviamo a che fare e cioè il rischio di allagamenti».

Ieri Nicola Perini, presidente di Publiacqua – la partecipata pubblica che ha in carico la gestione del servizio idrico integrato in 46 Comuni delle province di Firenze, Prato, Pistoia e Arezzo, dove vive un terzo della popolazione regionale – ha esordito così in seno alla Commissione Consiliare 4 del Comune di Prato. Un’occasione dedicata a presentare la progettualità per il potenziamento fognario e per affrontare i problemi di allagamento del popoloso quartiere pratese, che a causa della crisi climatica in corso condivide ormai il rischio allagamenti con territori ben più vasti.

«L’alluvione dello scorso novembre che ha messo in ginocchio la Toscana tutta con ingenti danni umani ed economici ne è la riprova – ha ricordato Perini – e oggi più che mai è compito dei soggetti deputati alla corretta gestione del servizio fare quanto più possibile per individuare soluzioni tecniche ad hoc, atte a mitigare il rischio idrogeologico e a prevenire gli effetti degli allagamenti cui purtroppo sono abituati gli abitanti del quartiere».

Al di là della crisi climatica, gli storici problemi di allagamenti che affliggono il quartiere di San Paolo –  soprattutto in caso di eventi meteo particolarmente importanti – dipendono anche dal fatto che il bacino di San Paolo (50 ettari per circa 5.000 abitanti equivalenti) ha una pendenza da nord e sud e, in caso di piogge importanti, la rete attuale ed il bacino idrografico presente (Vella, Bardena) non riescono a gestire gli enormi afflussi di acqua.

Dei tre scenari d’intervento esplorati in Commissione, quello che Publiacqua ritiene più idoneo alla situazione prevede la costruzione di 3 bacini di detenzione di diverse dimensioni (5.000, 2.000 e 1.000 mc) con svuotamento a gravità (ogni 24/48H) e con un quadro economico di circa 20 milioni di euro.

Tre vere e proprie – anche se piccole – casse d’espansione che, tra l’altro, consentirebbero la distrettualizzazione (divisione) del sistema fognario della zona serviti dai nuovi bacini costruiti.

L’intervento prevede inoltre il rinnovo del 30% della rete fognaria della zona e l’inserimento urbanistico di uno dei bacini con un camminamento ed area a verde a disposizione della cittadinanza.

Un lavoro apprezzato dai membri della Commissione, ma che ieri ha visto solo il primo momento di un lungo processo approvativo dove sarà fondamentale individuarne, per esempio, la finanziabilità per poi arrivare al progetto esecutivo e quindi alla cantierizzazione.

«Si tratta di un investimento importante, circa 20 milioni di euro, ma necessario – conclude Perini –  Condividere e realizzare un intervento del genere, nell’interesse collettivo, supportati magari da attività di comunicazione e formazione per istituzioni e cittadini coinvolti, rappresenta un dovere per un’azienda come Publiacqua, per affrontare queste problematiche ambientali, sociali ed economiche oggi purtroppo sempre più frequenti e che necessitano di rapide soluzioni. E rapidi processi autorizzativi».

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Il rischio malaria è tornato a crescere a causa della crisi climatica
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La malaria è una malattia infettiva diffusa dalle zanzare femmine, la cui diffusione sta crescendo a causa della crisi climatica in corso.

Ci sono almeno quattro meccanismi che stanno alimentando questo fenomeno: il cambiamento climatico prolunga le stagioni riproduttive delle zanzare; espande la diffusione geografica della malattia; aumenta i tipi di zanzare vettori; accelera lo sviluppo della resistenza antimicrobica.

La conseguenza, certificata dal World malaria report 2023, sta in un aumento di cinque milioni di casi di malaria a livello globale nel 2022, raggiungendo i 249 milioni (rispetto al 2021).

«L'Africa sostiene una quota sproporzionatamente alta del carico globale di malaria. Nel 2022, la regione ha ospitato il 94% dei casi di malaria (233 milioni) e il 95% (580.000) dei decessi per malaria», spiega Ndirangu Wanjuki in qualità di direttore di Amref Kenya, parte della più grande ong sanitaria africana.

Una situazione che rischia di peggiorare a causa dei cambiamenti climatici che stanno colpendo in maniera sproporzionata le popolazioni più fragili del continente: si stima che entro il 2050 le morti causate dalla malaria aumenteranno di 60.000 unità proprio a causa della crisi climatica.

Ad oggi Nigeria, Repubblica democratica del Congo e Uganda sono i Paesi più a rischio malaria, ma oltre alle difficoltà iniziano a crescere anche i progressi contro la malaria. Il 12 gennaio 2024 l'Oms ha certificato che Capo Verde ha debellato la malaria: è il terzo Paese africano a raggiungere questo status, dopo Mauritius nel 1973 e Algeria nel 2019. Inoltre l'Organizzazione mondiale della salute ha raccomandato due vaccini contro la malaria per i bambini di meno di 2 anni: i vaccini RTS, S/AS01 e R21/Matrix-M.

Il vaccino RTS,S/AS01 è stato sperimentato in Kenya, Ghana e Malawi. L'Oms, attraverso il supporto di Gavi (Vaccine alliance), ha sviluppato un quadro di distribuzione dei vaccini per assegnare i 18 milioni di dosi di vaccini contro la malaria ai Paesi endemici, in base alle esigenze di salute pubblica: 28 paesi dell'Africa subsahariana hanno espresso interesse per il lancio del vaccino contro la malaria e Gavi ha approvato il sostegno per il suo lancio in 18 Paesi.

«L'RTS,S/AS01 viene somministrato ai bambini al sesto, settimo, nono e diciottesimo mese di età in Kenya – spiega Wanjuki – Le quattro dosi riducono la malaria non complicata del 30% e la malaria grave del 39% e portano a una riduzione del 13% dei decessi dovuti alla malaria nei bambini di età compresa tra i 2 anni. L'R21/Matrix-M ha dimostrato un'efficacia del 66% negli studi clinici. Entrambi i vaccini prevengono fino al 75% dei casi di malaria in aree che sperimentano modelli stagionali di trasmissione della malaria».

Ma nonostante i significativi progressi, con la prevalenza della malaria scesa dall'11,2% al 6% tra il 2010 e il 2020, la lotta è tutt'altro che vinta, a causa delle nuove sfide poste dalla crisi climatica.

«Facendo l'esempio del Kenya – argomenta Wanjuki – la malaria, precedentemente debellata dagli altopiani negli anni '60, grazie ad una combinazione di insetticidi e temperature più fresche, è riemersa per effetto dei cambiamenti climatici. Gli studi collegano questo ritorno a temperature più calde e stagioni delle piogge più lunghe, associate agli anni di El Niño».

Per questo gli esperti di Amref sottolineano che «è fondamentale riconoscere l'interconnessione tra clima e condizioni di salute. Per quanto scoraggiante, la crisi climatica offre un'occasione per ripensare e rinvigorire il nostro approccio all'eradicazione della malaria». La sfida è saperla cogliere.

«Si può debellare la malaria – conclude Wanjuki – quarantatré Paesi hanno eliminato la malaria, tre dei quali in Africa. Sono ottimista sul fatto che allineare gli sforzi di eradicazione della malaria con le strategie di adattamento climatico possa portare più rapidamente a un futuro libero dalla malaria, garantendo la salute, il benessere e la produttività economica di centinaia di milioni di persone a rischio di malaria in Africa».

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Gida sarà tutta pubblica, il Comune di Prato vota per cedere le quote ad Alia Multiutility
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Come già anticipato su queste pagine, Gida – la società che si occupa della depurazione delle acque civili e industriali partecipata da Comune di Prato e Confindustria Toscana nord – ha iniziato il percorso per diventare una realtà interamente pubblica, sotto il controllo di Alia Multiutility.

Dopo la decisione già annunciata da Confindustria, anche il Consiglio comunale di Prato ha infatti votato per cedere le quote di Gida alla Multiutility nata dalla fusione fra Alia, Publiservizi, Consiag e Acqua Toscana.

Un’operazione che avviene in due step: il Comune di Prato, che a oggi detiene il 46,92% del capitale sociale, sottoscrive infatti l’aumento di capitale tramite il conferimento in natura delle azioni di Gida ad Alia Spa, che già possiede l’8% delle azioni.

Un secondo accordo avverrà per il restante 45,08%, che sarà ceduto a Alia da Confindustria Toscana nord, consentendo così alla Multiutility di diventare proprietaria di Gida.

«Il passaggio dei processi di depurazione sotto il controllo pubblico rappresenta un’evoluzione naturale dell'azienda – commenta il presidente di Gida, Alessandro Brogi – Un'evoluzione che porterà maggiori potenzialità e capacità di investimento, che permetterà di aumentare l’efficacia degli impianti e ottenere più risorse per perseguire la missione di Gida e rispondere alle esigenze del territorio».

A sua volta l’acquisizione di Gida – che dovrà adesso essere deliberata anche dal cda di Alia Multiutility – consentirà alla stessa Alia di rafforzare la propria presenza nel settore idrico, e ottenere un presidio di alcuni dei principali impianti di depurazione del territorio: attualmente Gida gestisce gli impianti di depurazione a servizio dei Comuni di Prato, Vaiano, Vernio e Cantagallo e la rete dell'acquedotto industriale.

«La nostra previsione è quella di investire fortemente sull’azienda – argomenta Nicola Ciolini, vicepresidente di Alia Multiutility – Nei prossimi 5 anni sono previsti almeno 30 mln di euro di investimenti per depurazione e fognature, nell’ambito dei 43 mln complessivi previsti dall’Autorità idrica toscana per l’area pratese. In questi interventi rientrano, per esempio, la copertura delle vasche di depurazione e l’adeguamento di alcuni processi depurativi di Baciacavallo, oppure il miglioramento dell’impianto del Calice, o ancora l’adeguamento degli impianti di Cantagallo e di Vaiano. Un capitolo importante del prossimo quinquennio riguarda anche la realizzazione di alcuni tratti di fognatura industriale nella valle del Bisenzio. Ulteriori 18 milioni sono previsti per sviluppare l’acquedotto industriale». E nell’ambito del piano industriale Multiutility, che guarda ad obiettivi di lungo periodo (2033), potranno essere valutati e sottoposti al cda ulteriori investimenti per circa 150 milioni di euro.

«Il futuro di Gida è per la nostra associazione una priorità assoluta – conclude il presidente di Confindustria Toscana nord Daniele Matteini – Abbiamo compiuto un processo lungo e complesso che ci ha convinto dell'opportunità, nell'interesse delle aziende, di collocare Gida nell'alveo della nascente Multiutility: da qui il mandato che il Consiglio generale mi ha conferito per la sottoscrizione dell'accordo di intenti con Alia. Un argomento decisivo è stato per noi, accanto alle garanzie per le tariffe di depurazione per le aziende, l'impegno assunto da Alia per gli investimenti sui capitoli depurazione, fognatura e acquedotto industriale».

Al termine dell’operazione, che verrà illustrata ai soci di Alia Multiutility nei dettagli nel corso della prossima assemblea, il capitale sociale di Alia sarà pari a 362.655.325,00 euro, e crescerà la partecipazione del Comune di Prato all’interno del capitale sociale della Multiutility, passando dal 18,07% al 18,55%.

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La climate promise non mantenuta mentre l’Undp lancia la seconda fase per il 2025
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L’United Nations Development Programme (UNDP) ha presentato la seconda fase della Climate Promise, un’iniziativa per sostenere l’azione climatica dei Paesi in via di sviluppo. La Climate Promise 2025 è stata presentata dal segretario generale dell’Onu António Guterres e dall’amministratore dell’UNDP Achim Steiner e segna l’inizio di rinnovati sforzi sull’azione climatica in tutto il sistema delle Nazioni Unite in vista del 2025, un anno critico perché i Paesi entrano in un nuovo ciclo quinquennale di impegni per limitare il riscaldamento globale.

All’UNDP spiegano che «La Climate Promisesi basa sul continuo sostegno dell'organizzazione a più di 125 Paesi in via di sviluppo per allineare la prossima generazione dei loro impegni nazionali sul clima - noti come " Nationally Determined Contributions " o "NDC" - agli obiettivi stabiliti nell'ambito dell'Accordo di Parigi del 2015 per limitare l’aumento della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius e aumentare la resilienza agli impatti climatici. Il lancio del Climate Promise 2025 rappresenta un’importante pietra miliare sulla strada verso i negoziati sul clima COP30 che si terranno in Brasile nel 2025. La COP30 segnerà il decimo anniversario dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e rappresenta un’opportunità fondamentale per mantenere il mondo su un percorso in linea con la limitazione dell’aumento della temperatura globale a 1,5° C e l’aumento della resilienza climatica, mentre i Paesi presentano una nuova serie di NDC, che sono al centro della lotta globale contro il cambiamento climatico».

Ad oggi, la Climate Promise  rappresenta la più grande offerta mondiale di sostegno ai Paesi in via di sviluppo per il miglioramento e l’implementazione degli NDC.

Guterres ha ricordato che «Il limite di 1,5 gradi è decisivo. Nel 2025 tutti i Paesi dovranno presentare nuovi e ambiziosi Nationally Determined Contributions per scongiurare la calamità climatica. Questi nuovi piani nazionali sul clima devono allinearsi al limite di 1,5 gradi e coprire tutti i gas serra, tutti i settori e l’intera economia. Se fatti bene, questi piani climatici possono raddoppiare come piani di investimento nazionali e rafforzare i piani di sviluppo nazionali. Possono fare da catapulta allo sviluppo sostenibile, collegando miliardi di persone all’energia pulita, migliorando la salute, creando posti di lavoro puliti e promuovendo l’uguaglianza. Ma sono documenti complessi e tecnici. E i Paesi in via di sviluppo hanno costantemente chiesto sostegno per renderli quanto più ambiziosi, inclusivi e completi possibile. Attraverso la Climate Promise, l’intero sistema delle Nazioni Unite si sta unendo per aiutare i governi dei Paesi in via di sviluppo a cogliere l’opportunità e creare nuovi piani climatici nazionali in linea con il limite di 1,5 gradi».

Il Capo dell’Onu ha riv badito che «La necessità di agireè urgente, poiché questo marzo è stato il più caldo mai registrato del pianeta, il decimo mese consecutivo di caldo record, secondo il Copernicus Climate Change Service. Dall’Europa all’Asia, il “caos climatico†continua ad accumularsi, dalle tempeste di pioggia record negli Emirati ArabiUniti , alla distruzione dei raccolti e all’inaridimento delle riserve idriche in Malawi, Zambia e Zimbabwe, nonché ai recenti avvertimenti degli scienziati sullo isbiancamento globale dei coralli a causa dell'aumento della temperatura dell'oceano. Quel  che stiamo vedendo è solo un’anteprima del disastro che ci attende se non limitiamo l’aumento a lungo termine della temperatura globale a 1,5 gradi Celsius. E’ decisivo per il limite di 1,5 gradi».

Steiner ha sottolineato che «I prossimi due anni sono fondamentali per portare il mondo su un percorso di 1,5°. L’UNDP si è impegnato a riunire il sistema delle Nazioni Unite per sostenere i Paesi in via di sviluppo nel potenziare l’azione climatica. La Climate Promise 2025 dell’UNDP aiuterà i Paesi di tutto il mondo a sviluppare e mantenere gli impegni presi nell’ambito dell’Accordo di Parigi e a compiere passi coraggiosi verso un futuro a zero emissioni zero, resiliente e inclusivo».

La Climate Promise 2025 si avvale del nuovo Climate Hub dell’UNDP e della sua esperienza in materia di uguaglianza di genere, energia, povertà, salute, sicurezza climatica, natura e biodiversità e il direttore globale per il cambiamento climatico dell’UNDP, Cassie Flynn, ha aggiunto che «L’UNDP ha il più grande portafoglio climatico nel sistema delle Nazioni Unite, sostenendo l’azione per il clima in quasi 150 Paesi in via di sviluppo. Con una comprovata esperienza nel sostegno agli NDC di prima e seconda generazione, tra cui oltre l’85% dei NDC dei Paesi in via di sviluppo nel 2020, stiamo riunendo il sistema delle Nazioni Unite dietro questo sforzo e collegando la diplomazia climatica e la leadership intellettuale con l’azione climatica e sviluppo sostenibile a livello nazionale e locale».

Guterres ha però concluso con un ammonimento ai potenti del mondo che sembrano più interessati alla guerra e al business as usual che alla giustizia climatica, ricordato che «Tutti i Paesi devono fare la loro parte, compreso il Gruppo dei 20 (G20), che rappresenta circa l’80% delle emissioni. Abbiamo bisogno di passi concreti quest’anno per far fluire i finanziamenti e consentire un aumento delle ambizioni climatiche. Il G20 deve aprire la strada presentando nuovi piani nazionali sul clima robusti, ambiziosi e completi ben prima della COP30 e impegnandosi ad accelerare drasticamente l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, dettagliando politiche e regolamenti per fornire certezza e prevedibilità ai mercati, dai prezzi del carbonio ai sussidi ai combustibili fossili, e aumentando del sostegno finanziario e tecnologico ai Paesi in via di sviluppo. Il limite di 1,5 gradi è ancora possibile, ma non per molto. Le Nazioni Unite si stanno mobilitando per sostenervi. Per favore, cogliete l'occasione. Insieme, diamo valore al prossimo ciclo di piani d’azione climatica».

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Clima, nessuno dei Paesi del G7 è in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030
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Dal 28 al 30 aprile la Reggia di Venaria (Torino) ospiterà la riunione ministeriale del G7 su Clima, energia e ambiente, guidata dalla presidenza italiana.

«A Venaria l’Italia arriva con idee chiare e con la determinazione necessaria per rendere questo G7 portatore di risultati reali e ambiziosi», ha dichiarato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto.

Ma in realtà nessuno dei Paesi di antica industrializzazione riuniti nel gruppo intergovernativo – Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Usa – è in traiettoria per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione al 2030.

È quanto emerge dal nuovo rapporto di Climate analytics, che ha studiato i piani di riduzione delle emissioni dei Paesi del G7.

In particolare, al ritmo attuale il Gruppo dei sette (G7) raggiungerà appena la metà delle riduzioni delle emissioni di gas serra necessarie entro il 2030 per raggiungere l'obiettivo di 1,5°C previsto dall'Accordo di Parigi.

Le economie del G7 devono ridurre le proprie emissioni del 58% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019 per fare la loro parte nel limitare il riscaldamento a 1,5°C. Ma l'attuale livello di ambizione al 2030 è pari ad appena al 40-42%, e – ancora peggio – le politiche esistenti suggeriscono che il G7 probabilmente raggiungerà solo una riduzione del 19-33% entro la fine di questo decennio.

«Queste economie, che rappresentano il 38% del Pil mondiale – sottolinea Neil Grant, autore principale dell'analisi – non stanno facendo il necessario nonostante abbiano sia la tecnologia che le risorse finanziarie per fare il salto di qualità. In un contesto di estremi climatici senza precedenti, esacerbati dall'uso dei combustibili fossili, intraprendere azioni ambiziose per la decarbonizzazione e fissare una scadenza per abbandonare i combustibili fossili dovrebbe essere il minimo indispensabile».

In questa traiettoria rientra anche la necessità di porre fine ai finanziamenti pubblici e ad altri tipi di sostegno ai combustibili fossili all'estero: al contrario l'Italia e il Giappone – ovvero l'attuale e la precedente presidenza del G7 – sono «tra i primi 5 Paesi che sovvenzionano progetti di combustibili fossili nel G20», sottolinea lo studio.

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La salute delle api mellifere sempre più a rischio per molteplici fattori di stress
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Secondo lo studio “Honey bee stressor networks are complex and dependent on crop and regionâ€, pubblicato recentemente su Current Biology da un team di ricercatori canadesi e statunitensi, «Non è un singolo pesticida o virus a stressare le api mellifere e a incidere sulla loro salute, ma l’esposizione a una complessa rete di molteplici fattori di stress interagenti incontrati durante il lavoro di impollinazione dei raccolti».

Dopo decenni di ricerche sul ruolo svolto da specifici pesticidi, acari parassiti, virus o fattori genetici. gli scienziati non sono stati in grado di spiegare l’aumento della mortalità delle colonie di api e questo ha portato il team di ricerca autore del nuovo studio a chiedersi se, concentrandosi su un fattore di stress alla volta, fosse stato trascurato qualcosa.

L’autore corrispondente della ricerca pubblicata su Current Biology, il biologo Amro Zayed, research chair in genomics all’università canadese di York, sottolinea che «Il nostro studio è il primo ad applicare analisi a livello di sistema o di rete ai fattori di stress delle api su vasta scala. Penso che questo rappresenti un cambiamento di paradigma nel campo perché siamo stati così concentrati sulla ricerca dell’unica grande cosa, la pistola fumante. Ma stiamo scoprendo che le api sono esposte a una rete molto complicata di fattori di stress che cambiano rapidamente nel tempo e nello spazio. E’ un livello di complessità a cui non avevamo mai pensato prima. Per me, questa è la grande sorpresa di questo studio».

Infatti, il team dello studio  - che comprendeva anche comprendeva anche ricercatori delle u niversità di British Columbia, Victoria, Lethbridge, Manitoba, Laval e  Guelph e di Agriculture and Agri-Food Canada e Ontario Beekeepers' Association  - dà uno sguardo molto più ampio all’interazione dei fattori di stress e ai loro effetti.

All’università di York fanno notare che «Non tutti i fattori di stress, però, sono uguali. Alcuni fattori di stress sono più influenti di altri – quelli che i ricercatori chiamano gli influencer dei social media del mondo delle api – avendo un impatto enorme sull’architettura di una rete altamente complessa e sui loro co-fattori di stress».  I ricercatori hanno anche scoperto che «La maggior parte di questi fattori di stress influencer sono virus e pesticidi che compaiono regolarmente in combinazione con altri fattori di stress specifici, aggravando gli effetti negativi attraverso le loro interazioni».

La principale autrice dello studio, la biologa Sarah French dell’università di York, evidenzia che «Capire quali fattori di stress si verificano contemporaneamente e sono in grado di interagire è profondamente importante per svelare il modo in cui influiscono sulla salute e sulla mortalità delle colonie di api mellifere. Ci sono stati molti studi sui principali pesticidi, ma in questa ricerca abbiamo visto anche molti pesticidi minori ai quali di solito non pensiamo o che non studiamo. Abbiamo anche trovato molti virus che gli apicoltori in genere non testano o non gestiscono. Vedere i fattori di stress influencer interagire con tutti questi altri fattori di stress, siano essi acari, altri pesticidi o virus, non è stato solo interessante, ma sorprendente. Il modo in cui i fattori di stress influencer si verificano con altri fattori di stress è simile al modo in cui gli esseri umani sperimentano comorbilità, come quando a qualcuno viene diagnosticata una malattia cardiaca. E’ più probabile che abbiano anche il diabete o l’ipertensione o entrambi, e ognuno di essi ha un impatto sull’altro. E’ simile al modo in cui esaminiamo le colonie di api. Osserviamo tutto ciò che accade nella colonia e poi confrontiamo o amalgamiamo tutte le colonie insieme per osservare i modelli più ampi di quel che sta accadendo e come tutto è correlato. Due o più fattori di stress possono davvero creare una sinergia tra loro. portando ad un effetto molto maggiore sulla salute delle api».

Dal Québec alla British Columbia, le colonie di api hanno il compito di impollinare alcune delle colture più preziose del Canada: mele, olio e semi di canola, mirtilli a cespuglio alto e basso, soia, mirtillo rosso e mais. Lo studio ha coperto più scale temporali, fornendo numerose istantanee, anziché la consueta singola istantanea nel tempo. Il team di ricerca ha scoperto che «Le api mellifere erano esposte in media a 23 fattori di stress contemporaneamente che si combinavano per creare 307 interazioni».

La ricerca fa parte del progetto Beecsi “OMIC tools for assessing bee healthâ€, finanziato con 10 milioni di dollari da Genome Canada nel 2018 per utilizzare strumenti genomici per sviluppare una nuova piattaforma di valutazione e diagnosi della salute basata su marcatori specifici dello stress. All’università di York ricordano che «L’industria delle api mellifere è un’industria da miliardi di dollari. Nel 2021, le api mellifere hanno contribuito con circa 7 miliardi di dollari in valore economico impollinando frutteti, verdure, bacche e semi oleosi come la colza e hanno prodotto da 75 a 90 milioni di libbre di miele. Capire quali sono fattori di stress fornirebbe il massimo beneficio e se gestiti contribuirebbe notevolmente allo sviluppo degli strumenti giusti per affrontarli, qualcosa che spesso manca agli apicoltori».

La French aggiunge che «Sono necessarie ulteriori ricerche per svelare il modo in cui i fattori di stress interagiscono e incidono sulla mortalità delle api mellifere e sulla salute delle colonie in futuro. E’ veramente necessario chiarire quali di questi composti potrebbero avere quella relazione e come possiamo svilupparla per studiare quelle relazioni specifiche».

Ma la scienza potrebbe non riuscirci in tempo: le api mellifere sono in cattive condizioni di salute a causa di morìe di colonie, parassiti, agenti patogeni e fattori di stress in aumento tutto il mondo. Alcuni apicoltori in Canada e negli Usa ischiano di perdere fino al 60% delle loro colonie durante l’inverno.

Zayed conclude: «Il nostro studio suggerisce che alcune combinazioni si verificano molto frequentemente e questo è rilevante perché le vediamo ancora e ancora, ma non sappiamo come queste combinazioni influenzino la salute delle api. la ricerca ci aiuta a stabilire le priorità di quali esperimenti possiamo ora riportare in laboratorio e a stabilire in che modo queste interazioni influenzano le api».

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Misurare le emissioni dell’inquinamento da plastica
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Lo studio “A City-Wide Emissions Inventory of Plastic Pollutionâ€, pubblicato su Environmental Science & Technology da Alice (Xia) Zhu e Chelsea Rochman dell’università di Toronto e da Matthew Hoffman della School of Mathematics and Statistics della Rochester Institute of Technology  ha sviluppato un quadro per misurare le emissioni di inquinamento da plastica simile allo standard globale per misurare le emissioni di gas serra. I ricercatori affermano che «L’approccio favorirà l’identificazione dei maggiori contributori all’inquinamento da plastica dal livello locale a quello nazionale e migliorerà le strategie per ridurre le emissioni in tutto il mondo».

Il quadro è stato pubblicato in concomitanza con il meeting dell’Intergovernmental Negotiating Committee on Plastic Pollution,  in corso a Ottawa, in Canada, e che terminerà il 29 aprile, per trovare un accordo globale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica.

Utilizzando la città di Toronto come modello, i ricercatori hanno sviluppato il primo sistema di questo tipo e hanno stimato che in un solo anno Toronto ha emesso quasi 4.000 tonnellate di inquinamento da plastica. La Zhu  evidenzia che «Si tratta di circa 400 camion della spazzatura di plastica che ogni anno si disperdono nell’ambiente da tutta la città. Assegnare la responsabilità dell'inquinamento a una giurisdizione con la capacità di emanare leggi significa che non si può nascondere la provenienza dell'inquinamento. Rappresenta un’opportunità per identificare le principali fonti di inquinamento da plastica all’interno dell’area e definire misure per ridurre queste emissioni».

I ricercatori canadesi e statunitensi si sono ispirati alle linee guida per la compilazione degli inventari delle emissioni di gas serra stabiliti dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), adattando le differenze fisiche tra gas serra e pezzi solidi di plastica, i ricercatori hanno utilizzato una metodologia simile per identificare le principali attività che producono inquinamento in una particolare area, calcolare la quantità di inquinamento generato da ciascuna attività in un dato periodo e tenere conto delle incertezze. associati a ciascuna fonte di attività che produce inquinamento.

La Zhu sèpiiega ancora: «Il nostro obiettivo era sviluppare un meccanismo contabile o uno strumento per misurare le emissioni di plastica che qualsiasi livello di governo possa adottare. Ma, cosa più importante, speriamo che questo strumento che abbiamo introdotto permetta al settore della plastica di seguire le orme del settore del clima, in cui i Paesi presentano inventari nazionali delle emissioni a un organismo internazionale come le Nazioni Unite per monitorare i nostri progressi verso il raggiungimento di un obiettivo globale definito».

Attualmente non esistono inventari nazionali delle emissioni legate all’inquinamento da plastica, né esiste un obiettivo definito a livello globale per ridurre l’inquinamento da plastica. Per dimostrare l’utilità del quadro, i ricercatori hanno creato un inventario delle emissioni dell’inquinamento da plastica per Toronto per il 2020, tratto da dati disponibili al pubblico raccolti attraverso controlli comunali sui rifiuti e altre fonti. Da un elenco di 9 tipi di fonti – tra le quali rifiuti, polvere di pneumatici di aerei e veicoli stradali, lavatrici e vernice dalla segnaletica stradale e dagli esterni delle case – si stima che a Toronto in quel periodo siano state emesse tra 3.531 e 3.852 tonnellate di inquinamento da plastica.

All’università di Toronto fanno notare che «I rifiuti hanno costituito la quota maggiore con 3.099 tonnellate, mentre l’erba artificiale è stata responsabile della maggior parte delle emissioni di microplastiche – particelle inferiori a 5 millimetri di diametro – con 237 tonnellate». Per Rochman «Non sorprende che i materiali più grandi – noti come macroplastiche, e in questo caso provenienti da rifiuti mal gestiti – costituissero la maggior parte della massa. Ma questo mette in ombra le piccole cose, le microplastiche. Le microplastiche tendono ad essere il numero più elevato in termini di pezzi reali. Ciò suggerisce che le politiche relative alle microplastiche, oltre alle macroplastiche, sono fondamentali per ridurre le emissioni di plastica nella città di Toronto».

I ricercatori hanno scelto Toronto per testare il quadro perché è la città più grande del Canada e la quarta città più grande del Nord America e la Zhu conclude: «E’ un centro urbano per varie attività e dove ci sono molte persone e attività, inevitabilmente si genera molto inquinamento. Per un caso di studio informativo e di successo, è necessario considerare un luogo con molte diverse fonti di inquinamento. In questo modo, è possibile identificare a quali fonti dovrebbe essere data priorità per la riduzione dell’inquinamento rispetto a tutte le altre, e quindi dimostrare l’utilità di un inventario delle emissioni per informare la politica locale. Gli inventari delle emissioni dell’inquinamento da plastica devono essere un elemento fondamentale di un trattato globale di successo sulla plastica e che il quadro dovrebbe essere applicato ad altre città, Province, Stati e paesi di tutto il mondo per comprendere meglio quali tipi di inquinamento da plastica si stanno verificando. rilasciato nell'ambiente. Le linee guida possono essere applicate alle regioni di tutto il mondo, indipendentemente dal tipo di fonti presenti. Ogni regione geografica avrà caratteristiche diverse e l’inventario consentirà lo sviluppo di soluzioni su misura per quella specifica regione».

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Il suono dei sogni e degli incubi degli uccelli (VIDEO)
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Il  Kaskadì maggiore o Pitango solforato (Pitangus sulfuratus) che i9 brasiliani chiamano bem-te-vi (ti-vedo-bene) e il resto dei latinoamericani bichofeo o benteveo per come suona il suo canto che si si sente in quasi tutta l'America centro-meridionale, ha il petto giallo, un lungo becco nero terminante ad uncino e una linea bianca sopra gli occhi. Lo studio “Synthesizing avian dreamsâ€, pubblicato su Chaos da  Juan Döppler, Melina Atencio, Ana Amador e Gabriel Mindlin del Departamento de Física  della  Facultad de Ciencias Exactas y Naturales, dell’Universidad de Buenos Aires (UBA) si è interessato di questi uccelli suboscini, che cantano in modo innato, analizzando in laboratorio alcuni esemplari completamente addormentati  con piccoli elettrodi posizionati sui loro muscoli vocali per rilevare se e quando si attivavano durante il sonno, scoprendo che «Anche se non viene emesso alcun suono. il sonno provoca un canto silenzioso».

Nel 2018 Mindlin, direttore del Laboratorio de Sistemas Dinámicos dell'UBA, ha pubblicato due studi  che hanno dimostrato che l'attività neuronale del canto silenzioso poteva essere osservata a livello muscolare. Doppler spiega su NexCiencia che  per la nuova ricerca «Abbiamo lavorato con 4 esemplari di benteveos. Per noi avere a che fare con gli animali è molto importante. Abbiamo effettuato la cattura con l'autorizzazione della Dirección de Flora y Fauna della Provincia di Buenos Aires. Gli uccelli vengono trasportati in laboratorio, trascorrono alcuni giorni di adattamento, poi viene eseguito un intervento chirurgico per inserire gli elettrodi nel muscolo, facciamo l'esperimento, gli elettrodi vengono nuovamente rimossi e gli uccelli ritornano nel loro habitat naturale».

Gli scienziati non hanno trovato le strutture neuronali che controllano il canto dei benteveos, che, a differenza degli uccelli che imparano (oscini), non hanno un sistema di nuclei neuronali specializzati nel canto, ma sfruttano invece strategie legate alla biomeccanica che permettono loro di cantare e di produrre vocalizzazioni più complesse.

Doppler  sottolinea che «Non sappiamo molto su come il canto sia controllato a livello neuronale negli uccelli suboscini. Se volessimo posizionare degli elettrodi nel cervello di un uccello e osservare come si attivano i suoi neuroni mentre dorme, non sapremmo dove farlo. Sappiamo invece come farlo nei muscoli della siringe, l'organo che emette suoni. Concentrarsi sulla biomeccanica dei muscoli vocali degli uccelli è come aprire finestre sul sonno, interpretandolo in modo più diretto. La stereotipia del canto diventa un modello comportamentale: mentre sognano, l'attività può variare, ma è molto simile a quella che fanno mentre cantano durante il giorno. In particolare, i loro schemi di attività muscolare hanno una frequenza definita: durante la notte la frequenza si riduce notevolmente, lo fanno lentamente; giocano anche di più, sono ammesse variazioni».

I bichofeo  sono molto territoriali: quando un possibile antagonista invade il loro spazio emettono un trillo particolare, sbattono le ali e mostrano la corona che tengono nascosta. Fanno lo stesso durante il sonno? La risposta a questa domanda ha sorpreso i ricercatori.

Per verificare che gli uccelli dormissero e che le registrazioni delle attività corrispondessero al sonno e non alla veglia, gli scienziati dell’UAB hanno posizionato delle telecamere all’infrarosso per spiarli  e Doppler evidenzia che  gli uccelli «Mentre dormono si esercitano a cantare, a chiamare il partner o a litigare, esercitano i trilli a livello muscolare. D'altra parte, la respirazione è inibita - per questo non cantano mentre dormono - e anche i movimenti delle loro zampe. Questi movimenti scompaiono con il sonno, ma non i segnali, dell’ordine da cento millisecondi a mezzo secondo, che siamo riusciti a rilevare e studiare. Siamo interessati a sapere cosa fanno di notte perché vogliamo osservare il comportamento. Stiamo cioè lavorando per sapere come vengono elaborate le informazioni che raggiungono i muscoli durante la notte e come verrebbero convertite in suono,  per sentire cosa stanno sognando. E’  un lavoro che è stato svolto per molti anni in laboratorio, dal quale  sono stati costruiti modelli che permettono di effettuare queste traduzioni. In questo caso particolare abbiamo cercato di adattarlo ai benteveos perché hanno due sorgenti sonore, due paia di labbra che agiscono insieme».

Il team argentino ha creato un modello per prevedere quali tipi di attività muscolare producono quali suoni. Quindi, hanno utilizzato il modello per dare vita ai canti silenziosi degli uccelli addormentati e uno dei canti sintetici che hanno prodotto corrispondeva ai rumori che i bichofeo fanno quando combattono per il territorio. Quando hanno guardato le riprese video dell'uccello addormentato, hanno notato che mentre l’uccello faceva quei suoni silenziosi le penne della sua testa erano ritte, proprio come avrebbero fatto se fosse stato sveglio e stesse combattendo con un avversario. Per Mindlin «E’ possibile che l'uccello stesse facendo un brutto sogno. Probabilmente, potremmo immaginare che questo esemplare stesse vivendo un incubo, ricreando Mindlin l'intera esperienza di litigare. I sogni sono una delle parti più intime e sfuggenti della nostra esistenza. Sapere che condividiamo tutto questo con una specie così lontana è molto commovente. E la possibilità di entrare nella mente di un uccello che sogna, ascoltando come suona quel sogno, è una tentazione a cui è impossibile resistere. Ho provato una grande empatia immaginando quell'uccello solitario che ricreava una disputa territoriale nel suo sogno. Abbiamo più cose in comune con le altre specie di quanto normalmente riconosciamo».

Doppler ammette che c’è una domanda che riguarda ogni studio: che ruolo svolgono queste pratiche? «Sappiamo che negli oscini il sonno gioca un ruolo importante nell'apprendimento del comportamento vocale ed è necessario che si consolidi. Lo stesso vale per altri animali come i topi. Gli uccelli suboscini sono vicini, filogeneticamente parlando, dai quali imparare; sono molto vicini in termini evolutivi. Quindi, siamo interessati a sapere se quel che accade è precedente all'apprendimento o meno. E abbiamo alcuni indizi. L'attività neurale degli uccelli osservati, modellati e analizzati da una dozzina di persone nel Laboratorio de Sistemas Dinámicos sono, in breve, atomi che danzano al ritmo del caso evolutivo, per parafrasare Gabriel Mindlin, l'uomo che per primo sentì cosa sognano gli uccelli un laboratorio Exactas UBA».

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Microalghe per rilevare i metalli nell’acqua
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Lo studio “Multi-scale fractal Fourier Ptychographic microscopy to assess the dose-dependent impact of copper pollution on living diatomsâ€, pubblicato su Scientific Reports  da un team di ricercatori dell’Istituto di scienze applicate e sistemi intelligenti “Eduardo Caianiello†del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isasi), in collaborazione con la Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli (Szn), hao messo a punto un test ottico per il rilevamento della dose di rame dispersa in campioni d’acqua isolati dal fiume Sarno in Campania.

I ricercatori italiani evidenziano che il metodo ottico sviluppato è di tipo funzionale, perché non si limita a identificare la presenza del metallo ma riesce a quantificarne gli effetti sulle diatomee, le microalghe che sono state impiegate come biosensori, presenti sia in acque dolci che salate. Per ottenere questo risultato è stata utilizzata una tecnica di microscopia innovativa detta Fourier Ptychography che, sfruttando una sorgente di luce led, riesce a mappare migliaia di microalghe in una singola immagine con risoluzione sub-micrometrica».

Vittorio Bianco, autore principale dello studio insieme a Lisa Miccio e Daniele Pirone (tutti del Cnr-Isasi), spiega che «Per esaminare adeguatamente le immagini prodotte, che presentano informazioni su diverse scale di ingrandimento, abbiamo per la prima volta utilizzato elementi di geometria frattale, un modello matematico che descrive efficacemente la complessità di oggetti naturali e ben si adatta all’analisi di queste immagini. Abbiamo così notato che anche dosi basse di rame (a partire da 5 micromolare) possono indurre uno stress nelle diatomee, cambiandone la forma, mentre dosi alte possono causarne la fuoriuscita del citoplasma e determinarne la morte».

La presenza di grandi concentrazioni di metalli pesanti come il rame è solitamente un indicatore dell’impatto antropico, soprattutto nelle aree altamente urbanizzate e industrializzate, dove questi metalli possono confluire negli ambienti acquatici. L’accumulo di questi metalli nelle microalghe è un problema grave per il possibile trasferimento agli organismi che se ne cibano e anche all’uomo, attraverso la catena alimentare.

Un altro autore dello studio, il tecnologo della SZN Angela Sardo, evidenzia che «Al fine di individuare strategie di biorisanamento efficaci e su larga scala, è importante conoscere la capacità di rimozione di inquinanti da parte delle specie viventi, ma anche gli effetti tossici che questi inquinanti possono avere su di esse in relazione alle quantità assunte. Ad esempio, il rame è un elemento chimico essenziale per la crescita delle microalghe, ma può essere fortemente dannoso in dosi elevate».

Pietro Ferraro, dirigente di ricerca del Cnr-Isasi, conclude: «In futuro, questo test potrà essere utilizzato per valutare rapidamente i livelli di inquinamento da metalli pesanti anche in aree marine dove, ad esempio, vengono effettuate attività estrattive in profondità, oppure in zone acquatiche ad alta industrializzazione».

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Morto per tumore da amianto nelle navi della Marina, la Corte di appello di Firenze condanna la Difesa
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La Corte di appello di Firenze ha condannato il ministero della Difesa, nell’ambito del processo per la morte del pisano Francesco Volterrani, che dopo 32 anni di servizio nella Marina Militare è morto all’età di 52 anni per l’esposizione all’amianto – che ha provocato un tumore che colpisce i polmoni, il microcitoma.

Dopo la sua morte i familiari, avuto contezza che le mansioni cui era stato adibito Francesco avevano causato fenomeni epidemici di cancro fra altri lavoratori, avevano richiesto alla Marina Militare il riconoscimento della dipendenza di causa di servizio e dello status “vittima del dovereâ€.

Nel 2017, la Difesa aveva chiesto al Ministero dell’Interno di inserire l’uomo nella graduatoria delle vittime del dovere. La figlia allora minorenne di Volterrani venne però esclusa dal riconoscimento; anche in primo grado il tribunale ha confermato l’esclusione della donna, oggi 38enne, dai benefici di previsti per i figli delle vittime.

La sentenza di oggi le rende infine giustizia, col riconoscimento di un assegno vitalizio mensile pari a 2000 euro circa mensili, con gli arretrati di circa 360mila euro.

«È il primo caso – spiega l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto, che ha seguito il caso – nel quale il Ministero nega il diritto a un orfano minorenne e che costringe una persona che ha già subito una importante perdita ad adire le vie giudiziarie per il riconoscimento dei propri diritti. Viste le alterne pronunce dei tribunali abbiamo istituito uno specifico servizio di assistenza legale per gli orfani delle vittime del dovere».

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Ecco il biodigestore di Montespertoli, il Chianti accoglie uno dei più grandi impianti d’Italia
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Un nuovo impianto in grado di regalare alla Toscana centrale l'autosufficienza per quanto riguarda la gestione dei rifiuti organici, capace di produrre energia green sotto forma di biometano e compost, pensato per ridurre al minimo il proprio impatto ambientale rispetto al paesaggio che lo circonda.

Questo, in sintesi,  quanto emerso dall'inaugurazione del nuovo impianto di biodigestione anaerobica a Monsterspertoli, nelle colline chiantigiane fra Empoli e Firenze, tenutasi questa mattina alla presenza dei vertici di Alia Multiutility – che lo ha realizzato a fronte di una spesa pari a 75 milioni di euro – e delle istituzioni toscane.

«Si tratta di un impianto fondamentale per l'Ato centro e quindi per la province di Firenze, Prato e Pistoia – spiega il presidente della Regione, Eugenio Giani – che consentirà di smaltire 160mila tonnellate: rifiuti che diventano economia. Tutto si smaltisce ma tutto si produce, in questo caso energia. Devo dire che è straordinario anche l'impatto ambientale sul territorio, nel senso che l’impianto mantiene quel profilo di bellezza che questo territorio ha nelle armonie delle colline».

Il nuovo impianto, composto da 4 biodigestori anaerobici ubicati in località Casa Sartori, dove prima si trovava una discarica, si pone a diventare un simbolo per il Paese in termini di transizione ecologica, oltre ad essere già l'impianto più grande di questo genere in tutto il centro Italia.

Ma le comunità locali non sempre accettano favorevolmente questo tipo di soluzioni: l'inaugurazione di oggi è figlia di un percorso condiviso con la cittadinanza, come ha tenuto a sottolineare il sindaco di Montespertoli Alessio Mugnaini.

«Noi non abbiamo nascosto niente – ha confermato il primo cittadino – siamo partiti da lontano già dieci anni fa coinvolgendo la cittadinanza in questa scelta, inserendola nei nostri strumenti di pianificazione, facendo incontri, spiegando, aprendo il cantiere in fase di realizzazione, aprendolo anche ai nostri agricoltori, che poi son quelli che utilizzano il compost. Per Montespertoli questo impianto rappresenta l'occasione di essere protagonisti per questa frazione organica, e quindi di risolvere un problema per tutte le comunità».

A Mugnaini ha fatto eco Lorenzo Perra, presidente di Alia Multiutility, che ha a sua volta posto l'attenzione sul percorso di trasparenza che ha accompagnato tutta la realizzazione dell'opera, un percorso destinato a continuare sotto forma di visite didattiche guidate (ma in estate ci sarà anche la musica, col festival Montespertoli musica estate) all'interno dell'impianto, per «mostrare che fine fanno anzi, che inizio fanno i rifiuti» a partire dal prossimo autunno.

Perra ha voluto inoltre ribadire l'importanza della cittadinanza nella raccolta differenziata, indubbiamente valorizzata da un impianto di questo tipo: «Siamo felici di concludere i lavori e iniziare la messa in marcia di questo impianto. Separare i rifiuti è molto importante: quando a volte si sente dire 'eh ma vabbè ma tanto mettono tutto insieme' no, non è così, è importante separare ed è importante farlo correttamente perché questo consente di far funzionare questo tipo di impianti. Quindi noi invitiamo i cittadini a contribuire a questo grande gioco di squadra che è la raccolta dei rifiuti ed il recupero della materia».

Ammontano a 160mila le tonnellate di rifiuti organici che l'impianto potrà trattare annualmente (divisi fra 145mila di Forsu e 15mila tra sfalci e potature), che si tradurranno in 12 milioni di metri cubi di biometano – di qualità identica al metano di origine fossile, con la profonda differenza che ma in questo caso si tratta di una fonte rinnovabile – e 35mila tonnellate di compost, da utilizzare in agricoltura al posto dei fertilizzanti di sintesi, numeri che posizione l'impianto di Montespertoli fra i primi cinque in Italia.

Dal punto di vista paesaggistico, invece, sono 360 gli alberi che sono stati piantati all'interno del perimetro dell'impianto, che già poteva vantare 350 arbusti di vario generi e 1600 piante officinali. Una soluzione rispettosa per l'ambiente e dall'alto valore architettonico grazie al lavoro dell'architetto Pietro Giorgieri, come ricordato dall'assessora regionale all'Ambiente Monia Monni.

«Si fa un gran parlare dei ritardi toscani in campo di rifiuti mentre qua – conclude Monni – siamo a visitare l'ennesimo impianto che in questa legislatura prende il via. Un impianto strategico quindi non sono dal punto di vista dell'economia circolare, ma che ha una qualità architettonica particolarmente importante. Questo è il punto su cui eravamo scoperti: l'organico è l'unica frazione (guardando ai soli rifiuti urbani, ndr) che la Toscana manda al di fuori dei confini regionali per 160mila tonnellate, che è l'esatta dimensione di questo impianto; grazie anche al nuovo biodigestore in via di realizzazione a Peccioli (PI) la Regione sarà autosufficiente».

di Davide Agazzi per greenreport.it

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Geotermia, le parti sociali toscane sollecitano la convocazione del Tavolo regionale
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Per la terza volta in poco più di un mese, le parti sociali della Toscana geotermica tornano oggi a bussare alle porte della Regione, sollecitando la convocazione urgente di un tavolo di confronto in vista dell’auspicata proroga delle concessioni minerarie che sottendono la coltivazione della geotermia.

È Confapi Toscana a farsi portavoce di una richiesta che racchiude le associazioni datoriali Confapi Pisa e del Tirreno, Confindustria Pisa, Confcooperative Toscana sud, Cna Pisa, Confartigianato Pisa, Casartigiani Pisa, Confcommercio Pisa, Confesercenti Valdera-Cuoio-Valdicecina, oltre alle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil di Pisa.

La lettera delle parti sociali è stata inviata all’attenzione del presidente Eugenio Giani, oltre che degli assessori regionali all’Ambiente, all’Economia e al Lavoro. La richiesta è sempre quella di «una rapida convocazione del Tavolo regionale sulla geotermia, istituito nel dicembre 2021 proprio grazie alle sollecitazioni dell’associazione delle Pmi, e mai convocato».

L’urgenza è dettata dalle tempistiche individuate dal decreto Energia (Dl 181/2023), col quale il Governo ha affidato alla Regione la possibilità di prorogare fino a venti anni le concessioni minerarie geotermiche in favore dell’attuale gestore – Enel green power –, se questi presenterà un piano investimenti convincente entro il 30 giugno.

Da parte sua, un mese fa la Regione ha festeggiato la geotermia come un tratto caratteristico dell’identità toscana, e il Consiglio ha già condotto numerose audizioni in merito alla possibilità della proroga. La convocazione del Tavolo regionale manca però ancora all’appello.

«La scadenza per la presentazione del piano da parte del concessionario è fissata per il 30 giugno e i tempi di valutazione sono strettissimi, appena trenta giorni dalla presentazione del piano – commenta Luigi Pino, presidente Confapi Toscana – Come abbiamo scritto nella lettera, riteniamo fondamentale e urgente che la Regione Toscana avvii con tutte le parti sociali una condivisione della strategia di utilizzo della risorsa geotermica, della valorizzazione dell’indotto e del territorio, e che le coinvolga nella definizione degli stessi criteri dei quali la valutazione intende tener conto, per modulare la possibilità di proroga e a cui il progetto di investimento dovrà ottemperare. Lo strumento per fare tutto questo, per noi, rimane il Tavolo regionale sulla geotermia: aspettiamo un cenno da parte della Regione».

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Gestione rifiuti, Sienambiente chiude il bilancio 2023 con un utile di 3,8 mln di euro
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L’assemblea dei soci della partecipata pubblica Sienambiente, pilastro del ciclo integrato di gestione rifiuti nell’area senese, ha approvato oggi il bilancio 2023 della società con utile netto da 3,8 mln di euro e un patrimonio netto in crescita a 32 mln di euro.

Sui risultati economici positivi hanno influito il ritorno in funzione e la messa a regime della discarica di Poggio alla Billa, che aveva fortemente ridotto i conferimenti a causa dei lavori di ampliamento, la razionalizzazione delle società partecipate da Sienambiente e i maggiori introiti ottenuti dalla produzione dell’energia elettrica del termovalorizzatore di Poggibonsi.

«Siamo soddisfatti di questi risultati – commenta il presidente, Tiziano Scarpelli (nella foto) – che costituiscono un ulteriore pilastro per proseguire nel lavoro di ammodernamento degli impianti e nella politica di investimenti nell’ambito dell’economia circolare. Dopo l’ampliamento della discarica di Poggio alla Billa, nel 2024 torna in funzione l’impianto delle Cortine (il taglio del nastro al revamping è avvenuto un mese fa, ndr) che darà un forte impulso al riciclo e l’economia circolare. Con il bilancio 2023 ci sono tutte le condizioni per poter mettere in atto nel migliore dei modi, a beneficio del nostro territorio, i progetti a sostegno della transizione ecologica».

Il bilancio in positivo permetterà infatti di dare continuità allo sviluppo del Piano industriale e al programma di investimenti che ammonta, nel complesso, a 50 milioni di euro.

Nella seduta odierna, l’assemblea dei soci ha infine nominato Gianni Baldini nuovo componente del collegio sindacale; confermati Marco Turchi (presidente del collegio) e Sonia Ferrero.

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Al via 3EFishing per la pesca a propulsione elettrica nell’Adriatico
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Secondo 3EFishing, il nuovo progetto europeo di cooperazione transfrontaliera tra Italia e Croazia (Interreg Italia-Croazia), «La transizione sostenibile per il settore della pesca e dell’acquacoltura in Adriatico passa dalla transizione verso imbarcazioni a propulsione elettrica: un’innovazione che, riducendo il consumo di carburante, il rumore e le emissioni in mare, migliora sia la qualità dell’ambiente che la sostenibilità economica delle tante piccole e medie imprese coinvolte».

Il progetto coordinato dall’università di Bologna è un’azione pilota che riadatterà due pescherecci con motori ibridi e con l'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili. Fausto Tinti, professore al Dipartimento di scienze biologiche, geologiche e ambientali dell'università di Bologna e coordinatore scientifico del progetto, spiega che «Le piccole e medie imprese sono la spina dorsale dell'economia della pesca e dell'acquacoltura sia in Italia che in Croazia, ma al tempo stesso sono anche i soggetti più colpiti dalla crisi attuale. La combinazione dell'aumento del costo del carburante, causato dall'attuale crisi energetica e bellica, e dell'impatto del cambiamento climatico sullo stato degli stock ittici ha infatti un impatto enorme sulla sostenibilità a breve e lungo termine dell’intero settore».

Il progetto sarà realizzato dall'UniBo e dall'Institut za oceanografiju i ribarstvo di Spalato, che lavoreranno per il trasferimento tecnologico e dell'innovazione, sviluppando soluzioni a low carbon con il supporto del ministero dell'agricoltura croato e l’istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare italiano, responsabile dei programmi di sostegno finanziario per imprenditori della pesca e dell’acquacoltura. Partecipano anche l’Agenzia per l’innovazione nel settore agroalimentare e della pesca della Regione Marche "Marche Agricoltura Pesca", l’Istituto agronomico mediterraneo di Bari e la contea croata di Zadar, che avranno il compito di coinvolgere gli operatori del settore, mentre la più importante impresa di acquacoltura croata, CROMARIS, sarà coinvolta direttamente nei processi e test di innovazione.

Nello scorso decennio, la flotta peschereccia dedicata alla piccola pesca e all’acquacoltura contava più di 12.000 imbarcazioni, in gran parte con più di 10 o 15 anni di vita e con motori esclusivamente diesel e all’UniBo dicono che «Oggi lo stato di innovazione della flotta è ora ancora peggiore a causa della situazione economica caratterizzata dagli effetti della crisi pandemica, dei conflitti internazionali e del cambiamento climatico».

Tinti evidenzia che «Per superare questa situazione è fondamentale puntare sulla transizione verso imbarcazioni a propulsione elettrica, ma tra i pescatori c'è ancora una scarsa fiducia su queste tecnologie. E’ necessario quindi lavorare per favorire il trasferimento delle conoscenze e dei risultati della ricerca applicata alle micro, piccole e medie imprese del settore, testando e dimostrando la fattibilità di questa transizione in condizioni operative reali».

Per farlo, lo staff di 3EFishing si concentrerà sullo sviluppo di nuove imbarcazioni con motore elettrico «Una soluzione che permette allo stesso tempo di ridurre le emissioni e migliorare la sostenibilità economica delle imprese che si occupano di pesca e di acquacoltura».

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Crisi climatica, i media italiani ne parlano di più ma senza nominare i responsabili
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Nell’ultimo anno sono cresciute in numero le notizie pubblicati dai principali media italiani sulla crisi climatica, ma è al contempo diminuita l’analisi della cause. E in parallelo, sono in risalita le narrazioni contro la transizione ecologica.

È quanto emerge dal secondo rapporto annuale sull’informazione dei cambiamenti climatici nel nostro Paese, realizzato per Greenpeace dall’Osservatorio di Pavia, che tra gennaio e dicembre 2023 ha acceso un faro su come la crisi climatica è stata raccontata dai cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa), dai telegiornali serali delle reti Rai, Mediaset e La7 e dalle 20 testate di informazione più seguite su Instagram.

«Il monitoraggio effettuato sui principali media italiani nell’anno più caldo di sempre conferma che, a causa dell’influenza economica di Eni e delle altre aziende inquinanti, in Italia non c’è libertà di stampa sul clima, nonostante gli impatti sempre più gravi ed evidenti del riscaldamento del pianeta», spiega Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia.

In particolare, i quotidiani hanno pubblicato in media 2,7 articoli al giorno (contro i 2 del 2022) contenenti almeno un accenno alla crisi climatica, sebbene quelli effettivamente dedicati al clima siano appena un terzo. In compenso, nello stesso periodo gli stessi quotidiani hanno ospitato 1.299 inserzioni pubblicitarie – contro le 795 del 2022 – dedicate all’industria dei combustibili fossili e delle aziende dell’automotive, aeree e crocieristiche, tra i maggiori responsabili del riscaldamento del pianeta.

Secondo l’analisi, questo è uno degli elementi che spiegano perché si parla sempre meno delle cause del riscaldamento globale (in calo dal 22% al 15% rispetto al 2022) e di combustibili fossili (indicati come causa solo nel 5,5% degli articoli), mentre le compagnie del gas e del petrolio sono indicate come responsabili in appena 14 articoli durante l’intero anno.

In base ai risultati dello studio, Greenpeace ha inoltre stilato la classifica per l’anno 2023 dei principali quotidiani italiani: raggiunge la sufficienza soltanto Avvenire (con 6 punti su 10), segue La Stampa (4,2 punti) mentre risultano gravemente insufficienti Repubblica (3,8 punti), Corriere (3,2 punti) e Il Sole 24 Ore (3 punti).

Non va meglio passando dall’analisi dei quotidiani a quella dei tg, che hanno parlato esplicitamente di crisi climatica nel 2,3% delle notizie trasmesse (contro l’1,9% del 2022) e solo 1 volta hanno indicato le compagnie petrolifere come responsabili. Il Tg5 è il telegiornale che in percentuale ha dedicato più spazio al clima (con il 2,7% delle notizie trasmesse), mentre fanalino di coda si conferma il Tg La7 di Enrico Mentana (1,6%). Il Tg1 e il Tg2 scivolano rispettivamente al terzultimo e al penultimo posto, sintomo del «condizionamento del Governo Meloni sulla Rai», come sottolineano da Greenpeace.

Coerentemente, le narrative contrarie alla transizione energetica trovano sempre più spazio. Nel 2023 sono state veicolate dal 16% degli articoli dei quotidiani e dal 14% delle notizie dei telegiornali che parlano di clima, e si assiste inoltre a un ritorno del negazionismo climatico di vecchio stampo.

Per quanto riguarda infine le testate d’informazione più diffuse su Instagram, canale di riferimento per i più giovani, le notizie sulla crisi climatica si attestano al 3,2% sul totale dei post pubblicati. A differenza dei media tradizionali, hanno trovato più spazio gli aspetti ambientali (32%) e sociali (25%) rispetto a quelli politici (21%) ed economici (9%). Hanno dedicato più attenzione alla crisi climatica will_ita (9,6% sul totale dei post pubblicati), torcha (8,1%) e domanieditoriale (7,8%), mentre chiudono la classifica corriere (1,3%), ilfoglio (0,9) e avvenire.it (0,7%).

«La resistenza alla transizione che troviamo in articoli, servizi di telegiornale e dichiarazioni dei politici altro non è – commenta Federico Spadini, campaigner clima di Greenpeace Italia – che il riflesso di un complesso patto di potere in cui gli interessi dei media, della politica e del mondo industriale sono indissolubilmente legati, e in cui i soggetti che hanno più potere di condizionare il discorso pubblico sul clima sono proprio i colossi del petrolio e del gas come Eni, maggiormente responsabili della crisi climatica. Rompere questo legame, liberando i media dalla dipendenza dai finanziamenti dell’industria fossile e ridimensionando il potere del settore petrolifero di influenzare la politica italiana, è un’azione necessaria».

Un contesto complessivamente drammatico, in cui però resiste un nucleo di giornali – riuniti da Greenpeace nella Stampa libera per il clima, con anche greenreport – che promuove un’informazione indipendente e scientificamente fondata sulla crisi climatica.

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La crescita inarrestabile delle auto elettriche: nel 2024 nel mondo ne verranno vendute 17 milioni
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Secondo il Global EV Outlook 2024 pubblicato dall’International energy agency (Iea) «Più di un’auto su cinque venduta in tutto il mondo quest’anno sarà elettrica, con una domanda in aumento prevista nel prossimo decennio, destinata a rimodellare l’industria automobilistica globale e a ridurre significativamente il consumo di petrolio per il trasporto su strada».

Ad accompagnare il Global EV Outlook 2024 ci sono il Global EV Data Explorer e il Global EV Policy Explorer,  strumenti online che consentono agli utenti di esplorare in modo interattivo le statistiche, le proiezioni e le misure politiche sui veicoli elettrici in tutto il mondo.

L’Outlook  pubblicato oggi, rileva che «Le vendite globali di auto elettriche rimarranno robuste nel 2024, raggiungendo circa 17 milioni entro la fine dell’anno. Nel primo trimestre, le vendite sono cresciute di circa il 25% rispetto allo stesso periodo del 2023, un tasso simile al tasso di crescita osservato nello stesso periodo dell’anno precedente, ma su una base più ampia. Il numero di auto elettriche vendute a livello globale nei primi tre mesi di quest’anno è più o meno equivalente al numero venduto in tutto il 2020».

Ed è la Cina che fa molta paura anche alla Corte dei conti europea a guidare questa crescita. L’Iea prevede che  nel 2024 «Le vendite di auto elettriche in Cina saliranno a circa 10 milioni, rappresentando circa il 45% di tutte le vendite di auto nel Paese. Negli Stati Uniti, si prevede che circa un’auto venduta su 9 sarà elettrica, mentre in Europa, nonostante le prospettive generalmente deboli per le vendite di autovetture e la graduale eliminazione dei sussidi in alcuni Paesi, le auto elettriche sono ancora destinate a rappresentare circa un in quattro auto vendute».

Questa crescita si basa su un 2023 record: «L’anno scorso – ricorda l’Iea - le vendite globali di auto elettriche sono aumentate del 35% arrivando a quasi 14 milioni. Mentre la domanda è rimasta in gran parte concentrata in Cina, Europa e Stati Uniti, la crescita è aumentata anche in alcuni mercati emergenti come il Vietnam e la Thailandia, dove le auto elettriche rappresentavano rispettivamente il 15% e il 10% di tutte le auto vendute».

I nuovo Outlook prevede che «I sostanziali investimenti nella catena di fornitura dei veicoli elettrici, il sostegno politico costante e il calo dei prezzi dei veicoli elettrici e delle relative batterie produrranno cambiamenti ancora più significativi negli anni a venire».

Il report Iea rileva che «Con le politiche attuali, ogni altra auto venduta a livello globale sarà elettrica entro il 2035. Nel frattempo, se gli impegni annunciati dai Paesi in materia di energia e clima fossero rispettati in pieno e in tempo, 2 auto vendute su 3 sarebbero elettriche entro il 2035. In questo scenario, la rapida diffusione dei veicoli elettrici – dalle automobili ai furgoni, ai camion, agli autobus e ai veicoli a due e tre ruote – evita la necessità di circa 12 milioni di barili di petrolio al giorno, alla pari dell’attuale domanda di trasporto stradale in Cina ed Europa messe insieme».

Presentando il rapporto, il direttore esecutivo dell’Iea Fatih Birol  ha detto che «Nei nostri dati, Lo slancio continuo delle auto elettriche è chiaro, anche se è più forte in alcuni mercati rispetto ad altri. Invece di rallentare, la rivoluzione globale dei veicoli elettrici sembra prepararsi per una nuova fase di crescita. L’ondata di investimenti nella produzione di batterie suggerisce che la catena di fornitura dei veicoli elettrici sta progredendo  per soddisfare gli ambiziosi piani di espansione delle case automobilistiche. Di conseguenza, si prevede che la quota di veicoli elettrici sulle strade continuerà a crescere rapidamente. Basandosi solo sulle politiche attuali, quasi un’auto su tre sulle strade in Cina entro il 2030 sarà elettrica, e quasi una su cinque sia negli Stati Uniti che nell’Unione Europea. Questo cambiamento avrà importanti conseguenze sia per l’industria automobilistica che per il settore energetico».

Il rapporto fa notare che «I produttori hanno compiuto passi importanti per soddisfare le ambizioni dei governi di rafforzare i veicoli elettrici, anche assumendo impegni finanziari significativi. Grazie agli elevati livelli di investimento negli ultimi cinque anni, la capacità mondiale di produrre batterie per veicoli elettrici è ben posizionata per tenere il passo con la domanda, anche se aumenterà drasticamente nel prossimo decennio. Il ritmo della transizione verso i veicoli elettrici potrebbe non essere coerente e dipenderà dall’accessibilità economica».

In Cina, oltre il 60% delle auto elettriche vendute nel 2023 erano già meno costose da acquistare rispetto alle loro equivalenti convenzionali. Ma in Europa e negli Stati Uniti, i prezzi di acquisto delle auto con motore a combustione interna sono rimasti in media più economici, anche se si prevede che l’intensificarsi della concorrenza di mercato e il miglioramento delle tecnologie delle batterie ridurranno i prezzi nei prossimi anni. L’Iea evidenzia che «Anche laddove i prezzi iniziali sono elevati, i costi operativi inferiori dei veicoli elettrici significano che l’investimento iniziale si ripaga nel tempo» e, a differenza da quanto teme la Corte dei Conti Ue l’Iea fa notare che «Le crescenti esportazioni di auto elettriche da parte delle case automobilistiche cinesi, che rappresentavano oltre la metà di tutte le vendite di auto elettriche nel 2023, potrebbero aumentare la pressione al ribasso sui prezzi di acquisto. Le aziende cinesi, che stanno anche installando impianti di produzione all’estero, hanno già registrato forti vendite di modelli più convenienti lanciati nel 2022 e 2023 nei mercati esteri. Questo evidenzia che la composizione delle principali economie produttrici di veicoli elettrici si sta discostando notevolmente dall’industria automobilistica tradizionale». La stessa industria che non ha saputo adeguarsi al mercato elettrico in espansione e che ora chiede autarchia europea dopo aver inondato il mondo  di auto a combustione interna nel nome della globalizzazione capitalista e del libero mercato, che evidentemente servono solo quando la concorrenza è scarsa o debole.

Il Global EV Outlook 2024 conclude evidenziando un altro aspetto cdella rivoluzione della mobilità elettrica: «Garantire che la disponibilità della ricarica pubblica tenga il passo con le vendite di veicoli elettrici è fondamentale per una crescita continua. Il numero di punti di ricarica pubblici installati a livello globale è aumentato del 40% nel 2023 rispetto al 2022 e la crescita dei punti di ricarica veloci ha superato quella di quelli più lenti. Tuttavia, per raggiungere un livello di diffusione dei veicoli elettrici in linea con gli impegni assunti dai governi, le reti di ricarica devono crescere di 6 volte entro il 2035. Allo stesso tempo, il sostegno politico e un’attenta pianificazione sono essenziali per garantire che una maggiore domanda di elettricità derivante dalla ricarica non si realizzi. non sovraccaricare le reti elettriche».

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Senegal, il progetto RigenerAzione sta riducendo l’inquinamento da plastica in Casamance
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Nonostante le sue ricchezze naturali e la diversità culturale, la regione della Casamance, nel sud del Senegal, continua a lottare con una serie di sfide socio-economiche.

Il settore agricolo, fondamentale per l'economia locale, è gravato da limitazioni legate al clima e alla mancanza di risorse e competenze.

In risposta a queste sfide, il progetto RigenerAzione di Cospe si è posto l'obiettivo di sostenere le autorità locali senegalesi nella gestione sostenibile del territorio, concentrandosi in particolare sui Comuni di Ziguinchor e Kafountine.

Finanziato dall'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e in collaborazione con partner locali e internazionali, come i comuni di Ziguinchor e Kafountine, la regione Puglia col Comune di Bari, il Consorzio delle aree marine protette di Porto Cesareo, il Comune di Bitonto, il Conseil national de concertation et de coopérationdes ruraux (Cncr) senegalese e l’Iscos, il progetto RigenerAzione ha avviato una serie di iniziative volte a potenziare il tessuto socio-economico della regione.

Uno degli elementi chiave del progetto è la partecipazione attiva della comunità. Attraverso workshop e consultazioni pubbliche, sono stati identificati siti e infrastrutture da sviluppare, con un focus sulla gestione e conservazione degli spazi comuni e sulla promozione della vita urbana.

Un aspetto fondamentale del progetto RigenerAzione è la gestione dei rifiuti. Durante recenti incontri a Kafountine, è emerso il bisogno di una strategia integrata per affrontare il problema dei rifiuti. Sono state discusse proposte per migliorare la gestione dei rifiuti e coinvolgere attivamente la comunità nella sensibilizzazione e nell'azione concreta.

Il progetto RigenerAzione si allinea perfettamente con il tema di quest'anno della Giornata mondiale della Terra, "Pianeta contro plastica", che sottolinea la necessità di ridurre drasticamente la produzione e l'uso di plastica per contrastare l'inquinamento e preservare l'ambiente per le generazioni future.

RigenerAzione si impegna attivamente nella sensibilizzazione e nella gestione dei rifiuti, promuovendo uno stile di vita sostenibile e responsabile. Attraverso la partecipazione attiva della comunità e il sostegno alle pratiche sostenibili, il progetto contribuisce a costruire un futuro più pulito e più sano per la Casamance.

Appena trascorsa, la Giornata della Terra rappresenta un'occasione fondamentale per riflettere sull'importanza della salvaguardia del nostro pianeta e per promuovere azioni concrete per proteggerlo.

La Terra è l'unica casa che abbiamo e le azioni per il contrasto del cambiamento climatico sono le sfide centrali della nostra società attuale, semplicemente perché, se non ce ne occupiamo, sarà troppo tardi. Per questo, dall'Italia alla Colombia, dallo Zimbabwe al Brasile e al Senegal, Cospe promuove progetti di cittadinanza attiva, tutela ambientale, riforestazione e adattamento al cambiamento climatico.

di Cospe per greenreport.it

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Cave di Carrara, Legambiente e cavatori uniti contro l’arroganza padronale
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Se non fosse tragico sarebbe comico: ci riferiamo allo sconcertante “siparietto†messo in onda da Report che ha visto protagonisti (involontari, si intende) il presidente di un’impresa quotata in borsa che fattura decine di milioni e realizza utili vertiginosi e una “spalla†di eccezione incarnata dal presidente vicario di Assindustria.

In prima serata nazionale, su un canale della tv di Stato, senza pudore, questa autoasserita classe “imprenditoriale†ha gettato definitivamente la maschera e ha mostrato il suo vero volto, arrogante e sprezzante che definisce “deficienti†i morti e i feriti sul lavoro: il vero deficit – non solo di umanità e di compassione ma di cultura imprenditoriale stessa – è di chi non solo sembra del tutto ignorare il dettato costituzionale (“L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umanaâ€, art. 41) ma si dimostra del tutto inconsapevole del fatto che è un preciso obbligo delle imprese garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro anche richiamando i lavoratori, se necessario, al rispetto di queste norme – non sparando come un cecchino e tanto meno dandogli dei “deficientiâ€.

Per inciso: dato che l’azienda Fum ha certificato il proprio sistema di gestione alla Iso 45001, sarà nostra cura portare all’attenzione dell’ente certificatore e di Accredia le dichiarazioni del suo presidente perché valuti se il suo approccio al tema della salute e sicurezza sul lavoro sia compatibile e coerente con tale certificazione.

Oggi esprimiamo quindi tutta la nostra solidarietà ai lavoratori del marmo che, rischiando la vita in un contesto difficile, non meritano di essere disprezzati e offesi da un imprenditore arrogante, e da una Confindustria affettuosa (“Albi…â€) e compiacente. Per questo anche Legambiente sarà presente al presidio convocato dei sindacati del lapideo, in occasione della giornata di sciopero giustamente indetta.

Ci saremo, a fianco di questi lavoratori che forse oggi hanno la plastica dimostrazione che i “nemici†dei cavatori non siamo noi ambientalisti ma i loro datori di lavoro (oggi ancora e sempre più “padroniâ€) che fra utili e proventi finanziari privano doppiamente la comunità di una risorsa che le appartiene: sul piano delle risorse naturali e su quello delle risorse economiche.

Abbiamo però un timore: ossia che il sistema politico, istituzionale e amministrativo – che oggi si indigna e si impegna – perda di vista il punto centrale (quello dello sfruttamento, appunto) e si concentri solo su quello che presto potrebbe venire archiviato, liquidato, come una “battuta infelice†o “una dichiarazione estorta†in fuori onda.

Dicano, finalmente, la politica e le istituzioni locali che non è più tempo per fare esercizi di equilibrismo, soggiacendo al ricatto “economico†(del contributo di escavazione, della tassa marmi, del sistema produttivo reso fragile della monocoltura dell’escavazione). Dicano ai cittadini, finalmente, che questo modello di sviluppo (e di “fare impresaâ€) non può più essere tollerato.

Dicano che le cave di Carrara hanno ragione di esistere solo se si riesce a minimizzare gli impatti ambientali e a massimizzare l’occupazione. Per fare questo è necessario un modo diverso di gestire l’escavazione, con una reale tutela dell’ambiente e della vita umana, e che si promuova realmente la filiera, tendendo a lavorare in loco tutta la produzione di blocchi, che deve essere percentualmente innalzata rispetto alle scaglie, ma riducendo a livelli sostenibili i quantitativi totali escavati.

Dicano, senza infingimenti e senza tecnicismi, che tutte le cave devono essere pubbliche e che gli utili stratosferici, di cui Report ha reso edotto l’intero Paese, non possono e non devono più essere appannaggio di poche famiglie, ma essere finalmente redistribuiti a vantaggio di tutta la città.

di Legambiente di Carrara, Massa-Montignoso, Versilia

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Corte dei conti europea: azzerare le emissioni delle auto è una strada in salita
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Ridurre o eliminare le emissioni prodotte dalle auto è una componente essenziale della strategia climatica dell’Unione europea per arrivare alle emissioni net zero entro il 2050, ma secondo la nuova  relazione speciale “Infrastrutture per la ricarica dei veicoli elettrici: vi sono più stazioni di ricarica, ma la loro diffusione non uniforme rende complicato viaggiare nell’UE†della Corte dei conti europea, «Per raggiungere tale scopo, è necessario diminuire le emissioni di carbonio prodotte dalle autovetture a motore endotermico, esplorare le opzioni di combustibili alternativi e favorire la diffusione dei veicoli elettrici sul mercato di massa. Negli ultimi due anni la Corte dei conti europea ha pubblicato una serie di relazioni in cui dimostra che il primo punto non si è finora concretizzato, il secondo risulta – stando al caso dei biocarburanti – non essere sostenibile su vasta scala e il terzo rischia di essere costoso sia per l’industria che per i consumatori dell’Ue».

L’Ue ha fatto progressi nel ridurre le emissioni di gas serra in generale, ma non nel settore dei trasporti, che in Europa produce circa un quarto delle emissioni climalteranti, la metà delle quali proviene dalle sole auto. Presentando la frelazione speciale, Nikolaos Milionis della Corte dei conti Ue ha avvertito che «Il Green Deal non porterà alcun frutto, se non verrà affrontato il problema delle emissioni delle auto. Dobbiamo però riconoscere che, nonostante le nobili ambizioni e i requisiti rigorosi, la maggior parte delle auto convenzionali emette ancora la stessa quantità di CO2 di 12 anni fa».

Infatti, anche se le norme per i collaudi sono diventate più rigorose, gli auditor della Corte hanno constatato che «Le emissioni prodotte in condizioni di guida reali dalle auto convenzionali, che rappresentano ancora quasi tre quarti delle nuove immatricolazioni, non sono diminuite in misura consistente in 12 anni. Nonostante l’accresciuta efficienza dei motori, le auto pesano in media circa il 10 % in più e hanno bisogno di maggiore potenza per spostarsi (circa +25 %)».

Inoltre, gli auditor hanno riscontrato che «Le auto ibride ricaricabili (plug-in), un tempo ritenute un’alternativa più ecologica dei veicoli tradizionali, sono ancora classificate “a basse emissioni†anche se il gap tra le emissioni misurate in condizioni di laboratorio e quelle misurate su strada è in media del 250%», confermando così le denunce di molte associazioni ambientaloste.

I combustibili alternativi, come i biocarburanti, gli elettrocarburanti e l’idrogeno, sono spesso indicati come i potenziali successori della benzina e del diesel, ma la relazione della Corte dei conti europea sui biocarburanti ha evidenziato «La mancanza di una roadmap chiara e stabile per risolvere i problemi a lungo termine del settore: la quantità di combustibile disponibile, i costi e la compatibilità ambientale». Milionis sottolinea che «Non essendo disponibili su vasta scala, i biocarburanti non possono rappresentare un’alternativa affidabile e credibile per le nostre auto».

La relazione speciale evidenzia che «In primo luogo, la biomassa prodotta sul mercato interno non è sufficiente per offrire una valida alternativa ai combustibili fossili tradizionali. Se questa biomassa è prevalentemente importata da Paesi terzi, viene meno l’obiettivo dell’autonomia strategica in materia di energia. Inoltre, altri settori produttivi (ad esempio, industria alimentare, farmaceutica e dei prodotti cosmetici) fanno concorrenza al settore automobilistico per l’uso delle stesse materie prime. In secondo luogo gli auditor dell’UE hanno concluso che, in parte a causa di questi problemi dal lato della domanda, i biocarburanti non sono ancora competitivi da un punto di vista economico: sono semplicemente più cari di quelli a base di carbonio e le quote di emissioni costano attualmente meno che ridurre le emissioni di CO2 utilizzando i biocarburanti, non sempre favoriti dalle politiche fiscali dei paesi dell’Ue».

L’ultimo aspetto di cruciale importanza rilevato dagli auditor è che «La compatibilità ambientale dei biocarburanti è sovrastimata. Le materie prime per la produzione di biocarburanti possono essere distruttive per gli ecosistemi e nocive per la biodiversità nonché la qualità del suolo e delle acque: sollevano quindi inevitabilmente questioni etiche sull’ordine di priorità tra beni alimentari e carburanti».

Quindi,  i veicoli a batteria sembrano essere l’unica alternativa possibile. Ma gli auditor hanno rilevato «Problemi sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta, con il conseguente rischio di una contrapposizione tra strategia Green Deal e sovranità industriale dell’Ue. L’industria europea delle batterie è in ritardo rispetto ai concorrenti mondiali, mettendo potenzialmente in crisi la capacità interna prima che questa sia al massimo regime. Meno del 10 % della produzione mondiale di batterie è localizzata in Europa e per la stragrande maggioranza è in mano ad imprese non europee. A livello mondiale, la Cina rappresenta un impressionante 76 %».

Per Annemie Turtelboom, della Corte dei conti Ue, «Le auto elettriche possono davvero trasformarsi in un doppio dilemma per l’Ue: da un lato, tra le priorità verdi e la politica industriale e, dall’altro, tra le ambizioni ambientali e il portafoglio dei consumatori».

Nonostante i proclami e i grandi progetti di governi e della Commissione europea, la Corte evidenzia che «L’industria delle batterie dell’Ue è frenata in particolare dall’eccessiva dipendenza dalle importazioni di risorse da paesi terzi, con i quali non sono stati sottoscritti adeguati accordi commerciali. L’87 % delle importazioni di litio grezzo proviene dall’Australia, l’80 % delle importazioni di manganese dal Sud Africa e dal Gabon, il 68 % del cobalto dalla Repubblica democratica del Congo e il 40 % della grafite dalla China. Oltre al problema della dipendenza dalle importazioni di materie prima altamente ricercate con le conseguenti ricadute sui costi, molti di questi paesi sono politicamente instabili o rappresentano comunque un rischio geopolitico per l’autonomia strategica dell’Europa. E questo prima ancora di considerare le condizioni sociali ed ambientali in cui queste materie prime sono estratte».

Gli auditor della Corte hanno anche sottolineato che, «Nonostante un significativo sostegno pubblico, il costo delle batterie prodotte nell’Ue resta molto superiore al previsto. Ciò le rende inevitabilmente meno competitive rispetto a quelle di altri produttori mondiali e potrebbe anche rendere proibitivi i veicoli elettrici europei per una larga parte della popolazione».

Da quando la Corte ha pubblicato la relazione sulle batterie, le vendite di auto elettriche nuove in Europa sono fortemente aumentate: 1,5 milioni di immatricolazioni nel 2023, una nuova immatricolazione su 7, ma studi recenti mostrano che le vendite hanno beneficiato di sovvenzioni pubbliche e hanno riguardato per lo più il segmento dai 30 000 euro in su. La Corte ribadisce che «Una quota significativa di questo prezzo è rappresentata dalle batterie, che possono arrivare a costare in media fino a 15 000 euro in Europa. Insomma, se la capacità e la competitività dell’Ue non aumentano in misura significativa, la “rivoluzione delle auto elettriche†in Europa rischia di basarsi sulle importazioni e di finire per danneggiare l’industria automobilistica europea e i suoi oltre 3 milioni di posti di lavoro nel settore manifatturiero».

La mobilità elettrica necessita di un numero sufficiente di punti di ricarica, ma la Corte dice che «Molti dei cittadini europei che potrebbero essere tentati dalle auto elettriche si scontrano ancora con un problema di accessibilità» e la Turtelboom aggiunge che «L’Ue non ha tutte le carte in mano per poter elettrificare il proprio parco auto: l’accesso alle materie prime, i costi per l’industria e per i cittadini e le infrastrutture carenti potrebbero farle perdere la partita».

Già u in una relazione del 2021 sulle infrastrutture di ricarica nell’Ue, gli auditor della Corte avevano rilevato che, «Nonostante successi come la promozione di uno standard comune Ue per i connettori di ricarica dei veicoli elettrici, permangono molti ostacoli per i veicoli elettrici in viaggio nell’Ue. Innanzitutto, vi sono pochi punti di ricarica: al momento dell’audit, risultava estremamente difficile raggiungere l’obiettivo di 1 milione di unità entro il 2025. In secondo luogo, la disponibilità di stazioni di ricarica varia notevolmente da un Paese all’altro: sono particolarmente rare ad est, mentre il 70 % è situato in Francia, Germania e Paesi Bassi». Infine, gli auditor hanno sottolineato che, «In assenza di informazioni in tempo reale e di un sistema di pagamento armonizzato, viaggiare in Europa a bordo di un’auto elettrica è ancora ben lungi dall’essere una passeggiata».

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Ilo: il 70% dei lavoratori del mondo a rischio cambiamento climatico (VIDEO)
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Secondo il nuovo rapporto “Ensuring safety and health at work in a changing climateâ€, pubblicato dall’International Labour Organization (ILO), «Un numero sbalorditivo di lavoratori, pari a oltre il 70% della forza lavoro globale, sarà probabilmente esposto ai rischi per la salute legati ai cambiamenti climatici e alle tutele esistenti in materia di sicurezza e salute sul lavoro (SSL) e dovranno lottare per tenere il passo con i rischi che ne derivano»,
Il rapporto evidenzia che «Il cambiamento climatico sta già avendo gravi ripercussioni sulla sicurezza e sulla salute dei lavoratori in tutte le regioni del mondo». L’ILO stima che, secondo i dati più recenti disponibili del 2020, «Oltre 2,4 miliardi di lavoratori (su una forza lavoro globale di 3,4 miliardi) saranno probabilmente esposti a caldo eccessivo in qualche momento del loro lavoro. Se calcolata come quota della forza lavoro globale, la proporzione è aumentata dal 65,5% del 2000 al ​​70,9%».
Inoltre, il rapporto stima che ogni anno vengono perse 18.970 vite e 2,09 milioni di anni di vita per la disabilità a causa dei 22,87 milioni di persone che subiscono infortuni sul lavoro attribuibili al caldo eccessivo. Per non parlare dei 26,2 milioni di persone in tutto il mondo che vivono con malattie renali croniche legate allo stress da caldo sul posto di lavoro.

E il rapporto avverte che «L’impatto del cambiamento climatico sui lavoratori va ben oltre l’esposizione al calore eccessivo, creando un “cocktail di rischiâ€, che si traducono in una serie di condizioni pericolose per la salute».
Numerosi problemi di salute dei lavoratori come cancro, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, disfunzioni renali e di salute mentale, sono collegati al cambiamento climatico.  Il rapporto evidenzia i principali impatti: «1,6 miliardi di lavoratori sono esposti alle radiazioni UV, con oltre 18.960 decessi ogni anno legati al lavoro dovuti a tumori della pelle non melanoma. 1,6 miliardi di persone potrebbero essere esposte all’inquinamento atmosferico sul posto di lavoro, provocando ogni anno fino a 860.000 decessi legati al lavoro all’aperto. Oltre 870 milioni di lavoratori nel settore agricolo sono probabilmente esposti ai pesticidi, con oltre 300.000 decessi attribuiti ogni anno ad avvelenamento da pesticidi. Ogni anno 15.000 decessi legati al lavoro dovuti all’esposizione a malattie parassitarie e trasmesse da vettori».

Il rapporto analizza anche le attuali risposte dei governi, tra cui la revisione o la creazione di nuove leggi, regolamenti e linee guida, e il miglioramento delle strategie di mitigazione climatica – come le misure di efficienza energetica – negli ambienti di lavoro.

Manal Azzi, responsabile SSL dell’ILO, conclude: «E’ chiaro che il cambiamento climatico sta già creando notevoli ulteriori rischi per la salute dei lavoratori. E’ essenziale prestare attenzione a questi avvertimenti. Le considerazioni sulla sicurezza e la salute sul lavoro devono diventare parte delle nostre risposte al cambiamento climatico, sia nelle politiche che nelle azioni. Lavorare in ambienti sicuri e sani è riconosciuto come uno dei principi e diritti fondamentali dell'ILO sul lavoro. Dobbiamo mantenere questo impegno in relazione al cambiamento climatico, proprio come in ogni altro aspetto del lavoro».

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Le città cambiano aria: il patto dei sindaci per una Pianura Padana che respiri
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In occasione della Giornata della Terra, a Milano è stato presentato “Le Città Cambiano Aria – Il Patto dei sindaci per una Pianura Padana che Respiriâ€, alla presenza dei sindaci delle maggiori città della pianura padana. Oltre a Milano, Torino, Bologna, Venezia, Treviso e alle Città Metropolitane, erano presenti anche gli amministratori di numerosi piccoli e grandi comuni delle quattro regioni che hanno sottoscritto il protocollo sulla qualità dell’aria. Ecco il testo sottoscritto dai sindaci di Milano, Bologna. Torino, Venezia e Treviso:

 

Negli ultimi anni ed in particolare negli scorsi mesi, in tutti i nostri Comuni, il livello di inquinamento dell’aria ha superato troppe volte i limiti consentiti e questo rappresenta un rischio per la salute e il benessere della popolazione. La nostra Costituzione afferma, all’articolo 32, che la salute è un diritto fondamentale dell'individuo: in tutta la Carta solo il diritto alla salute è caratterizzato come “fondamentaleâ€, inteso nel senso etimologico di “fondamento†di tutti gli altri diritti. L’inquinamento del suolo, delle acque e dell’aria costituisce una minaccia costante al benessere psicofisico dei nostri cittadini e delle nostre cittadine. Salute e tutela dell’ambiente sono quindi un binomio sempre più inscindibile della nostra epoca su cui è necessario orientare l’azione politica e le strategie dei prossimi anni.
Respirare un’aria pulita è un diritto fondamentale di tutte e tutti noi, come Sindaci e Sindache, amministratori e amministratrici locali, siamo chiamati a fare la nostra parte a partire dai nostri territori, impegnandoci nel promuovere misure sempre più attente all’ambiente. Siamo consapevoli, però, che quando parliamo di aria non possiamo limitarci ad indossare le lenti del perimetro comunale, come se un confine tracciato dall’uomo potesse fermare l’aria, ma dobbiamo necessariamente considerare l’intera Pianura Padana. La qualità dell’aria nella Pianura Padana è fortemente influenzata dalla sua conformazione geografica, essendo situata in un avvallamento dove smog e polveri tendono ad accumularsi. Parliamo, inoltre, di un’area in cui vi è una massiccia presenza di attività antropiche: vi risiedono oltre 20 milioni di abitanti e vi è generato più del 50% del PIL nazionale. La crisi climatica comporta fenomeni meteorologici sempre più estremi come periodi di siccità più frequenti e duraturi, alternati a piogge sempre più violente, che contribuiscono all’accumulo di inquinanti, compromettendo ancora di più la qualità dell'aria. È indubbio e registrato che i livelli di polveri sottili dal 2002 ad oggi siano quasi dimezzati, ma questo non basta.
Come Sindaci e Sindache, amministratori e amministratrici locali, dei Comuni della Pianura Padana vogliamo dire che ci siamo e vogliamo ribadire il nostro concreto impegno a promuovere, in tutte le nostre amministrazioni, misure virtuose per l’ambiente: ci impegniamo a sostituire tutte le caldaie comunali a gasolio, a continuare a piantumare nuovi alberi, a promuovere misure volte a decongestionare i Comuni dal traffico veicolare, ad investire sul trasporto pubblico e ad incentivare l’uso di mezzi di spostamento più sostenibili. Siamo consapevoli, altresì, che le nostre forze, ma soprattutto le nostre risorse, non bastano e per questo chiediamo, con un’unica e forte voce, all’Italia e all’Europa di essere al nostro fianco in prima linea.
Chiediamo al Governo italiano di rendere disponibili con urgenza investimenti dedicati a ridurre l’impatto negativo sull’ambiente dei trasporti di persone e merci e delle attività agricole ed industriali. Chiediamo investimenti concreti sul finanziamento e la sostenibilità del trasporto pubblico locale, soprattutto nella transizione a mezzi elettrici.
Chiediamo anche fondi straordinari per i piani di sostituzione delle caldaie obsolete e, più in generale, per l’efficientamento energetico degli edifici e la riforestazione urbana, in tempi rapidi e con un sistema di erogazione agile ed efficiente.
Chiediamo all’Unione Europea di fare la sua parte: perché l’area padana è uno dei casi più critici, per le caratteristiche territoriali e l’alta densità abitativa e produttiva. Crediamo che l’unica soluzione sia un piano straordinario a tutti i livelli. La questione della qualità dell’aria non può essere affrontata solo in modo occasionale e su scala comunale: è una sfida continua e costante che coinvolge tutti gli attori del territorio.
Chiediamo un forte coordinamento delle azioni, anche tramite una struttura speciale commissariale, che, in accordo con i nostri Enti e coinvolgendo anche le Regioni, ci aiuti a individuare azioni ed obiettivi possibili; che ci aiuti a raggiungerli anche tramite l’erogazione di fondi e risorse, da affiancare a quelle del Governo, per far fronte ai tanti interventi.

 

La presidente di Legambiente Lombardia, Barbara Meggetto, ha commentato: «La notizia più importante di oggi è la creazione della Rete dei Sindaci Contro lo smog, Anche se, ci permettiamo di dire, questa alleanza arriva con qualche decennio di ritardo. Apprezziamo naturalmente lo sforzo fatto per creare un’alleanza, ma vorremmo sottolineare come le azioni per cui i Sindaci si impegnano, allo stato attuale, sono il “minimo sindacale†per uscire dall’emergenza. Vorremmo vedere, da questo momento in poi, un’azione più incisiva nei confronti di Regione Lombardia, per portare in Europa fatti e risultati concreti nella lotta all’inquinamento dell’aria».

Legambiente Lombardia ricorda che «La Pianura Padana è uno dei luoghi più inquinati d’Europa. A conclusione del primo trimestre del 2024, i dati forniti da ARPA Lombardia sui livelli di particolato sottile (PM10) misurato dalle centraline dei capoluoghi di provincia hanno fornito un quadro impietoso della qualità dell’aria respirata dai cittadini lombardi, sia come media annua, sia come media giornaliera, i due parametri il cui confronto è importante per la corretta valutazione della qualità dell’aria. Tra gennaio e marzo, infatti, la concentrazione media di PM10 misurata in 6 capoluoghi su 10 è risultata eccedente il valore soglia (40 mg/mc) indicato dalla norma europea come media annua. L’aria peggiore si è registrata, nell’ordine, a Monza, Cremona, Brescia, Mantova, Lodi e Milano. Situazione solo appena migliore a Bergamo e Pavia, mentre le città che se la passano un po’ meglio sono quelle pedemontane,  di Como, Varese, Sondrio e Lecco. In ogni caso, nessuna di queste città ha fatto registrare valori inferiori a quelli previsti dalla nuova direttiva europea sulla qualità dell’aria, che una volta entrata in vigore abbasserà la media annua a 20 mg/mc. Altrettanto sconsolante è il dato relativo al numero di giorni in cui l’aria è risultata irrespirabile, facendo registrare valori superiori ai 50 mg/mc come media giornaliera. Due capoluoghi – Cremona e Brescia – alla data del 31 marzo hanno già sfondato il limite massimo di 35 giorni di aria irrespirabile all’anno fissato dalla direttiva, mentre altri 4 (nell’ordine: Milano, Monza, Mantova e Lodi) hanno quasi esaurito i giorni di ‘franchigia’ ammessi dalla direttiva. In bilico anche Pavia e Bergamo, per queste due città è improbabile che l’anno si concluda senza il superamento della soglia, mentre le giornate di aria tossica sono decisamente meno per i capoluoghi insubrici e per quello valtellinese».

Il Cigno Verde lombardo denuncia che «Il “bilancio di medio termine†della qualità dell’aria per il 2024 conferma per la Lombardia la distribuzione dei palmares di capoluoghi più inquinati non solo a quelli posti al centro dell’area metropolitana (Milano e Monza), con i loro irrisolti problemi di traffico urbano e autostradale, ma anche quelli che delimitano l’area agricola padana in cui si concentrano gli allevamenti intensivi: il quadrilatero tra Mantova, Brescia, Lodi e Cremona produce infatti oltre il 40% del latte, e il 50% della carne suina Made in Italy, grazie ad un patrimonio zootecnico che ha pochi eguali in Europa quanto a numero di capi».

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La crudeltà delle esportazioni di animali vivi dall’Europa verso il Medio Oriente (VIDEO)
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Animal Equality ha pubblicato una nuova inchiesta, realizzata in collaborazione con Animal Welfare Foundation, che rivela «Il trattamento crudele riservato agli animali che, dopo essere stati allevati in Spagna e caricati sulle navi, vengono trasportati in Medio Oriente, dove vengono macellati nei modi più crudeli».

L’inchiesta mette in luce l’impossibilità di garantire il benessere degli animali in questi viaggi a lunga distanza e per questo Animal Equality e Animal Welfare Foundation chiedono alla Commissione europea di «Vietare l’esportazione di animali vivi verso Paesi terzi al di fuori dell’Unione europea».

L’inchiesta documenta con foto e il video che pubblichiamo il lungo viaggio degli animali dagli allevamenti spagnoli passando per i porti di Tarragona e Cartagena, dove questi vengono caricati sulle navi che li trasportano nei macelli dei Paesi del Medio Oriente. Secondo quanto documentato, «Gli animali provenienti dalla Spagna vengono in particolare macellati nei modi più brutali nei mattatoi del Libano».

Animal Equality ricorda che «La Spagna è uno dei maggiori esportatori di bovini vivi in Europa e il secondo esportatore di ovini al mondo, dopo la Romania. Quando nel 2011 l’Australia ha inasprito i requisiti di benessere animale per l’esportazione, gli allevatori spagnoli hanno deciso di approfittare di un’opportunità commerciale. Nel 2022, 1.567.609.944 di animali, tra ovini, bovini, polli e suini sono stati trasportati vivi in tutta l’Unione europea e dall’Europa verso Paesi extraeuropei. Gli animali che vengono maggiormente trasportati vivi e venduti al di fuori dei Paesi Ue sono: Polli: esportati soprattutto da Germania (19%) e Paesi Bassi (31%); Bovini: esportati principalmente da Francia (33%), Germania (19%) e Paesi Bassi (9%); Ovini: esportati soprattutto da Spagna (28%), Romania (27%) e Francia (17%): Suini: esportati prevalentemente da Danimarca (48%) e Paesi Bassi (29%). Dei 9.753.820 ovini, suini e bovini destinati a riproduzione, ingrasso e macellazione che l’Ue ha esportato verso Paesi terzi, la maggior parte è stata trasportata via terra e via mare in Giordania, Regno Unito, Libia, Arabia Saudita, Libano e Turchia. All’interno della stessa Unione europea sono stati trasportati invece 41.110.835 ovini, bovini e suini destinati principalmente a scopi diversi dall’allevamento».

Le due organizzazioni animaliste  spiegano che «Le condizioni di vita durante questi viaggi variano a seconda di molti fattori, come le dimensioni del carico, l’equipaggiamento del veicolo, le temperature e la durata dei viaggi, che verso i Paesi terzi possono durare settimane. Soprattutto sulle lunghe distanze, questi trasporti causano gravi problemi di salute agli animali. Secondo i pareri scientifici dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), gli animali trasportati vivi sono esposti a stress durante le operazioni di carico e scarico; possono soffrire di fame, sete, esaurimento e mancanza di spazio e riposo durante il transito».

Maria Boada-Saña, project manager di Animal Welfare Foundation, sottolinea che «La mancanza di una supervisione efficace si estende dai porti europei di partenza a quelli di arrivo extra-Ue, che non dispongono di infrastrutture adeguate per le ispezioni sul benessere degli animali. Inoltre, non esistono piani di emergenza per proteggere gli animali da temperature estreme, né esiste l’obbligo per le navi adibite al trasporto di bovini in partenza dall’UE di avere un veterinario a bordo. Di conseguenza, migliaia di animali affrontano lunghi viaggi in mare, che possono durare giorni o addirittura settimane, senza avere accesso alle cure veterinarie».

gli animalisti  fanno notare che «La maggior parte degli animali esportati viene trasportata su navi inadatte e pericolose. Quelle che attualmente sono utilizzate per il trasporto di animali allevati in Europa sono state convertite da traghetti per auto o da navi da carico. La conversione avviene in un momento del ciclo di vita delle macchine in cui normalmente dovrebbero essere demolite perché troppo obsolete per continuare a essere utilizzate. L’età delle navi spesso supera i 50 o addirittura i 60 anni. Inoltre, queste operano sotto bandiere sospette (la maggior parte delle quali sono nella lista nera dell’Ue), sono mal progettate e non sottoposte a manutenzione, costituendo un grave rischio per la sicurezza degli animali, dell’equipaggio e dell’ambiente».

Animal Equality chiede alla Commissione europea e al governo italiano di «Vietare l’esportazione di animali verso Paesi non appartenenti all’Unione europea risparmiando a miliardi di animali sofferenze atroci. Se il benessere degli animali durante questi lunghi viaggi non può essere garantito, nel caso del Medio Oriente e del Nord Africa, la macellazione inoltre non rispetta gli standard internazionali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (OIE)».

Matteo Cupi, vicepresidente di Animal Equality Europa, conclude: «L’esportazione di animali vivi in Paesi terzi al di fuori dell'Unione Europea deve cessare. Gli animali subiscono ogni tipo di calamità durante questi viaggi, come abbiamo visto con lo scandalo Elbeik che abbiamo documentato. Con la pubblicazione di questa nuova indagine chiediamo ancora una volta alle istituzioni di porre fine alle esportazioni di animali vivi in Paesi terzi al di fuori dell’Ue».

 

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La Dichiarazione di New York sulla coscienza animale
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Una coalizione di scienziati ha pubblicato la “Dichiarazione di New York sulla coscienza animale†nella quale si legge: «Quali animali hanno la capacità di esperienza cosciente? Sebbene permanga molta incertezza, sono emersi alcuni punti di ampio consenso. Primo, esiste un forte sostegno scientifico per l’attribuzione dell’esperienza cosciente ad altri mammiferi e agli uccelli. Secondo, l’evidenza empirica indica almeno una possibilità realistica di esperienza cosciente in tutti i vertebrati (compresi rettili, anfibi e pesci) e in molti invertebrati (compresi, come minimo, molluschi cefalopodi , crostacei decapodi e insetti). Terzo, quando esiste una possibilità realistica di esperienza cosciente in un animale, è irresponsabile ignorare tale possibilità nelle decisioni che riguardano quell’animale. Dovremmo considerare i rischi per il benessere e utilizzare le prove per informare le nostre risposte a questi rischi».

Una dichiarazione stringata ma rivoluzionaria che fa il punto sugli studi sulla coscienza animale pubblicati negli ultimi dieci anni che sono stati un periodo entusiasmante per la scienza della cognizione e del comportamento animale. Gli scienziati ricordano che «Nuovi risultati sorprendenti hanno suggerito la vita interiore sorprendentemente ricca di una vasta gamma di altri animali, compresi molti invertebrati, stimolando un rinnovato dibattito sulla coscienza animale».  E citano i dieci esempi più significativi, molti dei quali i nostri lettori hanno già incontrato sulle pagine di greenreport.it:

I corvi possono essere addestrati a riferire ciò che vedono. In uno studio del 2020 pubblicato su Science , Andreas Nieder e colleghi hanno addestrato i corvi a riferire le loro percezioni visive usando i gesti della testa. Ai corvi veniva mostrato uno stimolo luminoso, uno stimolo fioco o nessuno stimolo. I corvi generalmente riferivano accuratamente se era stato loro mostrato uno stimolo, anche se a volte commettevano errori, soprattutto quando lo stimolo era molto debole. Durante l'esperimento, i ricercatori hanno misurato l'attività in una regione del cervello ritenuta associata alla cognizione di alto livello negli uccelli (NCL). Hanno scoperto che l’attività NCL monitorava se gli uccelli riferivano o meno di aver visto uno stimolo, non se uno stimolo veniva presentato o meno . In altre parole, i risultati suggeriscono che l’attività cerebrale nella NCL è un correlato neuronale dell’esperienza visiva nei corvi.

I polpi evitano il dolore e valutano il sollievo dal dolore nel test della preferenza del luogo condizionato. Il test della “preferenza del luogo condizionato†è stato sviluppato per valutare il dolore nei ratti da laboratorio. Nel 2021, l'esperto di cefalopodi Robyn Crook lo ha provato con i polpi. Innanzitutto, Crook ha permesso ai polpi di scegliere tra due camere all'interno di una vasca. Successivamente, alcuni polpi hanno sperimentato gli effetti di un’iniezione di acido acetico mentre si trovavano nella loro camera preferita. Questi polpi (ma non i controlli a cui era stata iniettata la soluzione salina) svilupparono un'avversione duratura per quella camera. Quindi, i polpi iniettati con acido hanno sperimentato gli effetti di un anestetico locale (lidocaina) nella camera che inizialmente sfavorevole. Questi polpi (ma non i controlli) hanno sviluppato una preferenza duratura per la camera in cui hanno sperimentato gli effetti della lidocaina. In un ratto o in un essere umano, dedurremmo da questo schema che l'iniezione di acido ha causato dolore che la lidocaina ha alleviato, quindi dovremmo essere pronti a trarre le stesse conclusioni per un polpo.

Le seppie ricordano i dettagli di specifici eventi passati, incluso il modo in cui li hanno vissuti. Molti animali possono ricordare eventi passati, compreso cosa è successo, dove è successo e quando è successo. Uno studio del 2020 è andato oltre, dimostrando che le seppie possono ricordare come hanno vissuto un oggetto, ad esempio se lo hanno visto o annusato, una capacità nota come “memoria della fonteâ€. I ricercatori hanno esposto le seppie alla vista o all'odore di un granchio, di un pesce o di un gamberetto. Hanno addestrato le seppie a indicare se avevano visto o annusato ogni animale da preda dopo un lasso di tre ore. Dopo l'addestramento, le seppie hanno potuto svolgere lo stesso compito con nuove prede, come cozze o lumache.

I labridi pulitori sembrano superare una versione del test del segno dello specchio. Le questioni relative all’autoconsapevolezza negli animali sono state a lungo esplorate utilizzando il “test del segno dello specchioâ€, che verifica se un animale, vedendo un segno sul proprio corpo in uno specchio, tenterà di rimuovere quel segno. In una sorprendente serie di studi condotti tra il 2019 e il 2023, i ricercatori hanno dimostrato che i labridi pulitori possono superare le 4 fasi del test. Innanzitutto, quando esposti a uno specchio, i pesci reagiscono in modo aggressivo come se credessero di vedere un pesce rivale. In secondo luogo, l’aggressività svanisce e i pesci iniziano a compiere comportamenti insoliti davanti allo specchio, come nuotare a testa in giù. In terzo luogo, i pesci sembrano studiarsi allo specchio. Infine, dopo che gli sperimentatori hanno posizionato un segno colorato sul pesce, il pesce, vedendo il segno nello specchio, tenta di rimuoverlo raschiando contro una superficie disponibile.

I serpenti giarrettiera hanno superato o una versione del test del segno dello specchio basata sull'odore. Determinare se gli animali possono riconoscersi allo specchio potrebbe non essere un test appropriato di autoconsapevolezza per tutte le specie. Alcuni animali, come i serpenti, si affidano principalmente all’olfatto o ad altri segnali non visivi per orientarsi nel loro ambiente. Uno studio del 2024 ha testato l'autoriconoscimento nei serpenti misurando le loro reazioni a dischetti di cotone imbevuti di vari profumi diversi: 1) il proprio profumo, 2) il proprio profumo con un "segno" di un profumo diverso, 3) il " mark†solo profumo, 4) il profumo di un serpente sconosciuto e 5) il profumo di un serpente sconosciuto con un “marchioâ€. I serpenti giarrettiera hanno indagato sui propri profumi marcati più a lungo di qualsiasi altro profumo. Questo suggerisce che i serpenti riconoscono i propri odori e notano quando il loro profumo è cambiato.

I pesci zebra mostrano segni di curiosità. Molte specie animali, tra cui rapaci, tartarughe e api, mostrano segnali di desiderio di cercare nuove informazioni. Nel 2023, i ricercatori hanno testato questi segni nel pesce zebra. Hanno scoperto che i pesci zebra mostrano un interesse costante per i nuovi oggetti, ma che il loro interesse svanisce più rapidamente con il numero di nuovi oggetti che osservano. Poiché i pesci zebra esplorano nuovi oggetti volontariamente e in assenza di qualsiasi ricompensa aggiuntiva, sembrano trovare l’apprendimento di nuove informazioni intrinsecamente gratificante.

Le api mostrano un comportamento di gioco apparente. Sebbene gran parte della ricerca esistente sulla coscienza animale sia focalizzata sul dolore, i ricercatori sono sempre più alla ricerca di segni di esperienze positive. In uno studio del 2022, i ricercatori hanno scoperto che i bombi fanno rotolare palline di legno in modo coerente con 5 caratteristiche di gioco. Primo, le api hanno lanciato le palline perché lo trovavano intrinsecamente gratificante, piuttosto che come mezzo per raggiungere un fine. Secondo, il comportamento non aveva una funzione apparente. Terzo, le api non stavano provando un comportamento che avrebbero utilizzato per un altro scopo, come il foraggiamento o l’accoppiamento. Quarto, le api hanno fatto rotolare le palline ripetutamente ma non esattamente ogni volta nello stesso modo. Infine, il comportamento aumentava quando le api erano rilassate, indicando che si trattava di un’esperienza piacevole e non indotta dallo stress.

I gamberi mostrano stati “simil-ansiaâ€, alterati dai farmaci ansiolitici. Una serie di studi svolti tra il 2014 e il 2017 hanno studiato il modo in cui i gamberi rispondono allo stress, esplorando la possibilità che possano essere un utile modello di ansia. I ricercatori hanno posizionato i gamberi in un labirinto con percorsi sia luminosi che bui. I gamberi hanno una tendenza naturale ad esplorare nuovi ambienti, ma preferiscono il buio alla luce. Quando i ricercatori hanno aumentato lo stress nei gamberi somministrando loro scosse elettriche, i gamberi sono diventati significativamente più avversi alle aree luminose del labirinto. Le benzodiazepine vengono utilizzate negli esseri umani per alleviare l'ansia, e i gamberi trattati con questi farmaci erano ancora una volta disposti a esplorare le parti luminose del labirinto.

I granchi bilanciano le motivazioni concorrenti per prendere decisioni flessibili. Un programma di ricerca a lungo termine condotto da Robert Elwood e colleghi ha studiato il modo in cui i paguri e i granchi costieri prendono decisioni di fronte al rischio. Uno studio del 2024 ha esaminato il modo in cui i granchi costieri bilanciano la loro avversione per la luce intensa con l’avversione per le scosse elettriche. I granchi normalmente entrano in un rifugio per sfuggire alla luce intensa, ma possono scegliere la luce intensa invece del rifugio se in passato hanno subito uno shock in quel rifugio, e la loro decisione dipende da quanto è stato intenso lo shock e da quanto è intensa la luce. Anche altri animali, come i ratti, le iguane e le api, fanno sottili compromessi tra priorità concorrenti dipendenti dalla memoria. Questi compromessi suggeriscono che l’animale ha una “valutazione comune†per soppesare bisogni di tipo molto diverso, una valutazione che fa per loro quel che piacere e dolore fanno per noi.

I moscerini della frutta hanno un sonno attivo e tranquillo e l’isolamento sociale interrompe i loro ritmi di sonno. E’ noto da molti anni che i moscerini della frutta Drosophila hanno una forma di sonno. Ora un nuovo studio ha scoperto modi per indurre due diversi tipi di sonno: il sonno “tranquilloâ€, che comporta una significativa diminuzione dell’attività cerebrale, e il sonno “attivoâ€, in cui l’attività cerebrale persiste nonostante la mancanza di comportamento esteriore. Proprio come il sonno a onde lente e il sonno REM svolgono funzioni diverse negli esseri umani, i ricercatori hanno ipotizzato che il sonno tranquillo e quello attivo svolgano funzioni diverse nei moscerini della frutta. Il sonno tranquillo sembra rallentare il metabolismo e regolare lo stress, mentre il sonno attivo sembra supportare la funzione cognitiva. Nel frattempo, uno studio del 2021 pubblicato su Nature ha dimostrato che il sonno dei moscerini della frutta viene  interrotto dall’isolamento sociale; i moscerini dormono meglio quando sono in presenza di altri moscerini.

Tra i 39 primi firmatari della dichiarazione ci sono esperti di fama mondiale sulla coscienza umana (Christof Koch, Anil Seth, David Chalmers, Liad Mudrik, Lucia Melloni, Nao Tsuchiya), pipistrelli (Yossi Yovel), uccelli (Nicola Clayton, Irene Pepperberg) , rettili (Gordon Burghardt, Anna Wilkinson), pesci (Culum Brown, Becca Franks, Noam Miller), polpi (Jennifer Mather, Robyn Crook, Peter Godfrey-Smith, David Edelman), seppie (Alex Schnell), paguri (Robert Elwood ), api (Lars Chittka, MV Srinivasan, Andrew Barron, Martin Giurfa) e moscerini della frutta (Bruno van Swinderen).  Tutti firmatari a titolo personale e non a nome di alcuna istituzione o organizzazione ma che incoraggiano chiunque abbia competenze rilevanti a unirsi a loro  firmando personalmente la dichiarazione.

Gli scienziati scrivono che uno degli obiettivi della Dichiarazione è quello di «Ttrasmettere l'entusiasmo per la scienza emergente della coscienza animale e incoraggiare ulteriori lavori su questo argomento. Questo è un momento cruciale: una massa critica di persone sta osando studiare la coscienza animale in modo rigoroso e sistematico. Sebbene permanga incertezza sia sulla natura della coscienza sia su quali animali siano coscienti, la ricerca di alta qualità ha già ridotto la nostra incertezza su queste domande. Ci auguriamo che scienziati, università e governi si rendano conto che questo campo sta facendo rapidi progressi, che ha il potenziale per fare ancora di più (incluso il progresso verso migliori teorie della coscienza) e che merita il vostro sostegno».

Un secondo obiettivo è quello di incoraggiare la riflessione sul benessere degli animali: « Questa Dichiarazione non fornisce raccomandazioni politiche specifiche e i firmatari hanno un’ampia gamma di opinioni su questioni morali, legali e politiche. Il punto su cui concordiamo è che non dovrebbe essere richiesta la certezza della coscienza per prendere in considerazione i rischi per il benessere. Se esiste una possibilità realistica che un animale sia cosciente – ad esempio, che i polpi possano soffrire – allora questa possibilità merita di essere presa in considerazione nei contesti politici. ad esempio, nelle decisioni sul sostegno o meno all’allevamento dei polpi. I politici dovrebbero adottare misure ragionevoli per mitigare i rischi per il benessere di tutti i vertebrati e di molti invertebrati mentre i ricercatori cercano di migliorarne la comprensione».

La dichiarazione di New York prende atto che esiste una nuova immagine emergente della coscienza animale e parte da una domanda: cos'è la coscienza? Gli scienziati evidenziano che «Il termine ha una varietà di significati. La Dichiarazione di New York sulla coscienza animale si concentra su un significato importante, a volte chiamato “coscienza fenomenica†o “senzienzaâ€. La domanda qui è quali animali possono avere esperienze soggettive . Questo può includere esperienze sensoriali (ad esempio, l'esperienza di un particolare tatto, gusto, vista o olfatto) così come esperienze che fanno sentire bene o male (ad esempio, l'esperienza di piacere, dolore, speranza o paura). Questo senso del termine “coscienza†è quel  che Thomas Nagel aveva in mente quando notoriamente si chiese “Com’è essere un pipistrello?â€. L'esperienza soggettiva richiede qualcosa di più della semplice capacità di rilevare gli stimoli. Tuttavia, non richiede capacità sofisticate come il linguaggio o la ragione di tipo umano. La coscienza fenomenica è un sentimento grezzo – un’esperienza vissuta immediata, sia essa sensoriale o emotiva – e questo è qualcosa che potrebbe essere condiviso tra gli esseri umani e molti altri animali. Naturalmente, le capacità linguistiche e razionali simili a quelle umane possono consentire ad alcuni esseri umani di avere forme di esperienza che mancano ad altri animali (ad esempio un “monologo interiore†linguistico). Allo stesso modo, molti altri animali possono avere forme di esperienza che a noi mancano».

Allora, in base a tutto questo, quali animali sono coscienti?  Per gli scienziati firmatari della Dichiarazione, I progressi appena descritti, nel loro insieme, inviano un messaggio chiaro: dobbiamo prendere sul serio la possibilità che una vasta gamma di animali, compresi tutti i vertebrati e molti invertebrati, possano avere esperienze soggettive.  Sarebbe inappropriato parlare di “provaâ€, “certezza†o “evidenza conclusiva†nella ricerca della coscienza animale, perché la natura della coscienza è ancora fortemente contestata. Tuttavia, è del tutto appropriato interpretare queste notevoli manifestazioni di apprendimento, memoria, pianificazione, risoluzione di problemi, autoconsapevolezza e altre capacità simili come prova di coscienza nei casi in cui lo stesso comportamento, se riscontrato in un essere umano o in un altro mammifero, sarebbe ben spiegato dall’elaborazione cosciente. Questi comportamenti rendono più probabile che questi animali abbiano coscienza senza dimostrare di averla, proprio come i sintomi di una malattia rendono più probabile che tu abbia la malattia senza dimostrare di averla».

Gli scienziati concludono: «Per quanto riguarda altri mammiferi e uccelli, possiamo ora dire che le prove stabiliscono un forte supporto scientifico per le attribuzioni della coscienza: prove non conclusive, ma molte linee di prova che puntano tutte nella stessa direzione. Per quanto riguarda altri vertebrati (rettili, anfibi e pesci) e molti invertebrati (molluschi cefalopodi come polpi e seppie, crostacei decapodi come paguri e gamberi, e insetti come api e moscerini della frutta), possiamo ora dire che le prove stabiliscono almeno una possibilità realistica di coscienza. La possibilità è sufficientemente alta da giustificare ulteriori ricerche volte ad affrontare le questioni relative alla coscienza in questi animali. La possibilità è anche abbastanza alta da giustificare una seria presa in considerazione del loro benessere».

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Le persone di sinistra sono più intelligenti? Secondo uno studio statunitense sì
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Una delle accuse ricorrenti che fa la destra a chi vota e milita a sinistra è quella di credersi più intelligenti, di sapere più cose dell’elettore di destra e lo studio “Predicting political beliefs with polygenic scores for cognitive performance and educational attainmentâ€, che sarà pubblicato nel numero di maggio-giugno di Intelligence da Tobias Edwards, Alexandros Giannelis, Emily Willoughby  e James Lee del Department of psychology dell’università del Minnesota -Twin Cities, conferma che quel che la destra presenta – anche in queste ote in Italia - come un pregiudizio della sinistra in realtà potrebbe avere un solido fondamento scientifico,

I ricercatori statunitensi ricordano che «L’intelligenza è correlata a una serie di convinzioni politiche di sinistra e liberal. Questo  potrebbe suggerire che l’intelligenza alteri direttamente le nostre opinioni politiche. In alternativa, l’associazione può essere confusa o mediata da fattori socioeconomici e ambientali».

Gli psicologi dell’università del Minnesota hanno studiato l'effetto dell'intelligenza all'interno di un campione di oltre 300 famiglie biologiche e adottive, utilizzando sia il Quoziente di Intelligenza (QI) misurato che i punteggi poligenici - un punteggio ottenuto dopo un'analisi genomica che permette di prevedere la predisposizione genetica stimata di un individuo per una determinata caratteristica, in questo caso l’intelligenza - per le prestazioni cognitive e il livello di istruzione e dicono che «Abbiamo scoperto che sia il QI che i punteggi poligenici predicevano in modo significativo tutte e 6 le nostre scale politiche. I punteggi poligenici prevedevano il progressismo sociale e un minore autoritarismo all’interno delle famiglie. L’intelligenza è stata in grado di prevedere in modo significativo il progressismo sociale e un minore autoritarismo all’interno delle famiglie, anche dopo aver controllato le variabili socioeconomiche. I nostri risultati possono fornire la più forte inferenza causale fino ad oggi di intelligenza che influenza direttamente le convinzioni politiche».

I ricercatori rivelano che «Punteggi elevati di QI così come alcuni marcatori genetici chiave associati all’intelligenza hanno un impatto significativo sulle affiliazioni politiche» , arrivando a concludere che «L’intelligenza è correlata con una varietà di convinzioni politiche di sinistra».

Il team di ricercatori si è basato sulle informazioni ottenute da un database di fratelli e sorelle biologici o adottati cresciuti nella stessa famiglia e che quindi in condizioni simili (educazione genitoriale e scolastica, ecc.) questo ha permesso loro di identificare le differenze tra questi fratelli legate non al loro ambiente, ma a predisposizioni genetiche e hanno così potuto analizzare i dati relativi a più di 200 famiglie (82 coppie di fratelli biologici, 96 adottati e 35 che adottati-biologici) per i quali erano disponibili sia i risultati dei test del QI che il loro genoma sequenziato.

E’ così che gli scienziati hanno individuato un chiaro legame tra intelligenza e posizioni più di sinistra sia tra fratelli e sorelle biologici che adottivi ed Edwards conferma: «Abbiamo accertato che il QI e i marcatori genetici dell'intelligenza, conosciuti come punteggio poligenico possono aiutare a prevedere quale dei due fratelli tenderà ad essere più di sinistra. Sono fratelli e sorelle con la stessa educazione e cresciuti sotto lo stesso tetto. Ciò implica che l’intelligenza è associata alle convinzioni politiche non solo a causa dell’ambiente o dell’educazione, ma piuttosto perché le variazioni genetiche alla base dell’intelligenza potrebbero svolgere un ruolo nell’influenzare le nostre differenze politiche. Perché è così? Non lo so».

Per valutare le opinioni politiche all’interno di queste famiglie, i ricercatori si sono basati su diversi aspetti legati all’ideologia politica e basandosi su questo, sono stati poi in grado di stabilire che «Gli individui con marcatori di intelligenza più elevati erano più socialmente inclini a sinistra e meno autoritari».

Ma i ricercatori statunitensi si guardano bene dal considerare l’intelligenza come l’unica variabile che può influenzare gli ideali e il voto per una forza politica e ci ricordano anche che «Le opinioni politiche sono una costruzione complessa che appartiene a un contesto storico preciso».

Edwards ricorda ancora Edwards in un’intervista a PsyPost, «Negli ultimi settant'anni, gli psicologi hanno riportato correlazioni tra intelligenza e convinzioni politiche in oltre un centinaio di pubblicazioni. Nonostante il grande interesse per l’argomento, abbiamo poca conoscenza del motivo per cui esiste questo collegamento, per non parlare del fatto che possa essere causale. Come dice il vecchio cliché; la correlazione non è necessariamente causalità. Sono curioso di andare a fondo del perché esiste questa misteriosa correlazione»-

I ricercatori hanno valutato 6 diversi aspetti legati all’ideologia politica: autoritarismo, egualitarismo, liberalismo sociale, conservatorismo fiscale e religiosità. Sia il QI che i punteggi poligenici hanno predetto in modo significativo tutti e 6 questi aspetti politici.

Edwards spiega ancora: «Abbiamo riscontrato che l’intelligence è in grado di prevedere negativamente il conservatorismo fiscale, mentre le ricerche passate hanno generalmente riscontrato il risultato opposto. Il nostro campione era composto da americani, interrogati sulle loro opinioni politiche intorno al 2017, suggerendo che il rapporto tra intelligenza e convinzioni politiche potrebbe essere cambiato nel tempo. Questa sorpresa evidenzia un punto importante; non esiste alcuna legge che dica che le persone intelligenti debbano sempre sostenere particolari convinzioni o ideologie. Il modo in cui la nostra intelligenza influenza le nostre convinzioni dipende probabilmente dal nostro ambiente e dalla nostra cultura. Guardando indietro nel corso della storia, possiamo vedere che individui intelligenti sono stati attratti da ogni sorta di idee diverse e spesso contraddittorie. Gli intellettuali hanno flirtato e sono stati sedotti da ideologie pericolose e regimi tirannici. Molte persone intelligenti hanno creduto a idee che sono assolutamente stupide. Per questo motivo George Orwell dubitava che l'intelligenza dei partigiani potesse essere una guida per la qualità delle loro convinzioni, dichiarando che “Bisogna appartenere all'intellighenzia per credere a cose del genere: nessun uomo comune potrebbe essere così sciocco". Come per ogni studio, ci sono da considerare alcune limitazioni, come il potenziale confondimento genetico. I nostri punteggi poligenici per le prestazioni cognitive (intelligenza) e i risultati scolastici derivano da genome-wide association studies (GWAS) che stimano le correlazioni tra varianti genetiche (SNP) e caratteristiche di intelligenza e istruzione. Alcune di queste varianti genetiche correlate potrebbero non essere causa di intelligenza. Sebbene i fratelli con punteggi poligenici più alti tendano ad essere più progressisti, le varianti genetiche possono influenzare le convinzioni politiche attraverso percorsi diversi dall’intelligenza. Il lavoro futuro dovrebbe rivedere i nostri risultati una volta apportati miglioramenti alla metodologia GWAS».

Quel che però sembra evidente è che i risultati del nuovo studio fanno nuova luce sulla relazione tra intelligenza e atteggiamenti politici, anche se i ricercatori sottolineano che «L’intelligenza è solo uno dei tanti fattori che influenzano le convinzioni politiche» e mettono in guardia dal trarre implicazioni sul merito delle ideologie politiche basate sull’intelligenza dei loro aderenti.

Edwards conclude: «E’ molto forte la tentazione di trarre conclusioni sulla veridicità di un’ideologia basandosi sull’intelligenza dei suoi sostenitori. Ma questo sarebbe un errore. Ci sono state persone straordinariamente intelligenti sia a sinistra che a destra, da Oppenheimer a von Neumann. Questi e molti altri esempi dimostrano che non c’è motivo per cui dobbiamo presumere che un’ideologia sia più intelligente di un’altra, anche se le persone intelligenti sembrano più propense ad allinearsi con una convinzione o con un’altra. Dal nostro studio non possiamo dire che le convinzioni delle persone con un alto QI ci dicano cosa è giusto credere, ma piuttosto solo ciò che le persone intelligenti scelgono di credere. In passato, le persone, sia intelligenti che ottuse, erano ferocemente divise su questioni politiche che oggi sembrano ridicole, come il diritto divino dei re, o l'abito corretto del clero. La storia vista con il senno di poi dovrebbe renderci umili e meno netti nelle nostre convinzioni e insegnarci a essere tolleranti verso coloro con i quali non siamo d’accordo, indipendentemente dalla loro intelligenza o da qualsiasi altro tratto psicologico che li predispone a punti di vista particolari».

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Gli impatti sulla salute degli oligoelementi presenti nell’aria
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Chi soffre di allergie stagionali sa bene che  le particelle invisibili di polline sospese nell'aria possono davvero essere molto fastidiose. Lo studio “Elemental characterization of ambient particulate matter for a globally distributed monitoring network: Methodology and implicationsâ€. pubblicato recentemente su ACS ES&T Air  da un folto gruppo internazionale di ricercatori rivela che anche piccole concentrazioni di oligoelementi nell’aria possono avere impatti negativi significativi sulla salute umana, ma fa notare che «Tuttavia, a differenza del conteggio dei pollini e di altri indici allergici, che sono attentamente monitorati e ampiamente disponibili, esiste una conoscenza limitata sulle concentrazioni ambientali di oligoelementi cancerogeni come il piombo e l’arsenico nelle aree urbane dei Paesi in via di sviluppo».

La ricerca guidata da Randall Martin, Distinguished Professor di alla McKelvey School of Engineering della Washington University di St. Louis (WashU), ha analizzato il particolato ambientale globale (PM) per comprendere due dei suoi componenti chiave, la polvere minerale e gli oligoelementi ossidi. Gli oligoelementi hanno associazioni ben documentate con esiti avversi per la salute. Mentre la polvere proviene sia da fonti naturali come i deserti che da attività antropiche come l’edilizia e l’agricoltura, gli oligoelementi sono prevalentemente emessi da attività antropiche come la combustione di combustibili fossili e i processi industriali.

Il team di Martin ha esaminato i dati raccolti dal Surface PARTIculate mAtter Network (SPARTAN) , l'unica rete di monitoraggio globale che misura la composizione elementare del PM e ha prodotto un prezioso dataset e una metodologia per identificare le regioni con elevati oligoelementi, alcune delle quali con livelli preoccupanti, come in Bangladesh, India e Vietnam, che potrebbero trarre vantaggio da interventi per ridurre le emissioni di oligoelementi derivanti dalle attività umane.

La principale autrice dello studio, Xuan Liu del Department of Energy, Environmental & Chemical Engineering della WashU, sottolinea che «Dati affidabili sulla composizione elementare del PM ambientale sono fondamentali per comprendere i rischi per la salute associati all’esposizione agli oligoelementi presenti nell’aria. Il nostro lavoro evidenzia i significativi rischi per la salute causati da livelli elevati di oligoelementi presenti nell’aria, in particolare l’arsenico, nel sud e nel sud-est asiatico».

L’autore senior dello studio, Randall Martin, collega della Liu, aggiunge che «Questo lavoro attira l'attenzione sulla necessità di un monitoraggio costante e costante della composizione elementare del particolato fine nelle aree urbane di tutto il mondo. L'identificazione di potenziali fonti di emissione di questi elementi informerà interventi mirati per mitigare l'esposizione e salvaguardare la salute pubblica».

Sebbene Martin e i suoi collaboratori abbiano scoperto in studi precedenti che l’inquinamento atmosferico globale dovuto alle polveri sottili è diminuito tra il 1998 e il 2019 e che strategie come la sostituzione delle fonti di carburante tradizionali con fonti di energia sostenibili potrebbero ridurre ulteriormente l’inquinamento da PM, la loro analisi SPARTAN evidenzia le preoccupazioni attuali riguardanti l’esposizione di oligoelementi attraverso l'inalazione di PM. Il team ha identificato «Il riciclaggio informale delle batterie al piombo, il riciclaggio dei rifiuti elettronici e le fornaci per mattoni alimentate a carbone come potenziali contributori alle elevate concentrazioni di oligoelementi, in particolare a Dhaka, in Bangladesh». E ha notato che «Le concentrazioni di oligoelementi sono particolarmente elevate nei Paesi a basso e medio reddito a causa dell’urbanizzazione e dell’industrializzazione non regolamentate. Tuttavia, le reti di monitoraggio del PM in queste aree sono, nella migliore delle ipotesi, discontinue, ostacolando la comprensione da parte dei ricercatori dei livelli di polvere e oligoelementi e delle loro fonti di emissione. Sono necessari metodi di campionamento uniformi e analisi affidabili per consentire confronti in tutto il mondo».

La Liu  conclude: «La nostra crescente raccolta di campioni porterà a stime migliori delle concentrazioni di polvere e oligoelementi, che ci consentiranno di eseguire una valutazione più accurata del rischio per la salute e un’indagine approfondita sulle fonti di emissione. Alcuni siti SPARTAN sono stati selezionati o istituiti come parte della missione satellitare Multi-Angle Imager for Aerosols (MAIA) dedicata allo studio degli impatti sulla salute di vari tipi di particelle sospese nell’aria. Questa collaborazione produrrà un ampio dataset con una maggiore frequenza di campionamento, aiutandoci a identificare le fonti di inquinamento in modo più efficace in futuro».

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Indagine indipendente smentisce Israele: l’Unrwa non è complice di Hamas
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Il rapporto finale “Independent Review of Mechanisms and Procedures to Ensure Adherence by UNRWA to the Humanitarian Principle of Neutrality†redatto dall’Independent Review Group on UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees), guidato dall'ex ministra degli esteri francese Catherine Colonna, «Israele ha reso pubbliche affermazioni secondo cui un numero significativo di dipendenti dell’UNRWA sono membri di organizzazioni terroristiche. Tuttavia, Israele deve ancora fornire prove a sostegno di ciò».

Nelle 54 pagine del rapporto finale è stato consegnato al segretario generale dell’Onu che aveva  nominato l’Independent Review Group pochi giorni dopo che Israele aveva accusato l’UNRWA, che impiega 30.000 persone e serve 5,9 milioni di rifugiati palestinesi in Cisgiordania, Giordania, Libano, Siria. e Gaza devastata dalla guerra, di aver collaborato con Hamas e addirittura di aver partecipato al massacro dei civili israeliani del 7 ottobre 2023. Sulla base di queste accuse alcuni Paesi occidentali hanno interrotto i finanziamenti all’UNRWA.

Dopo le accuse mosse da Israele contro l'UNRWA alla fine di gennaio, l'agenzia Onu ha immediatamente licenziato i lavoratori sotto accusa e ha chiesto un'indagine rapida e imparziale. Guterres ne ha ordinati due e qualche giorno dopo il segretario generale dell’Onu  ha nominato il gruppo di revisione indipendente , guidato dalla Colonna e composto da ricercatori del Raoul Wallenberg Institute svedese, del Michelsen Institute norvegese w dell’Istituto danese per i diritti umani, per indagare sul processo dell'UNRWA volto a garantire la neutralità del suo lavoro.

Allo stesso tempo, Guterres  ha ordinato all’ Office of Internal Oversight (OIOS), il principale organo di controllo dell’Onu, di indagare sulla veridicità delle affermazioni di Israele contro i 12 membri dello staff dell'UNRWA.  Inizialmente , gli investigatori dell’OIOS hanno contattato gli Stati membri interessati, hanno visitato la sede dell’UNRWA in Giordania e hanno esaminato le informazioni iniziali ricevute dall’agenzia dalle autorità israeliane e da una varietà di fonti, comprese quelle rilasciate attraverso i media e altri mezzi pubblici. Questa indagine è ancora in corso.

Il tanto atteso rapporto finale ha rilevato che «L’UNRWA, istituita dall’Assemblea Generale nel 1949, dispone di ampi strumenti per garantire che rimanga imparziale nel suo lavoro e fornisca regolarmente a Israele elenchi di dipendenti e il governo israeliano non ha informato l’UNRWA di alcuna preoccupazione relativo a qualsiasi personale dell’UNRWA sulla base di questi elenchi del personale dal 2011».

Presentando il rapporto in conferenza stampa, la Colonna ha detto che «L’insieme di regole, meccanismi e procedure in atto [all’UNRWA] sono i più elaborati all’interno del sistema delle Nazioni Unite, proprio perché è una questione così difficile lavorare in un ambiente così complesso e sensibile. Ciò che deve essere migliorato sarà migliorato. Sono fiduciosa che l’attuazione di queste misure aiuterà l’UNRWA a portare a termine il suo mandato. Incoraggio fortemente la comunità internazionale a lavorare fianco a fianco con l'agenzia affinché possa svolgere la sua missione e superare le sfide che si presentano sul posto. Questo è lo scopo della Review».

Un lavoro di indagine sui meccanismi esistenti nell’UNRWA  durato 9 settimane durente le quali il team ha condotto più di 200 interviste, ha incontrato le autorità israeliane e palestinesi e ha contattato direttamente 47 Paesi e organizzazioni, presentando una serie di 50 raccomandazioni su questioni che vanno dall’istruzione a nuovi processi di valutazione per reclutamento del personale.

Le raccomandazioni del rapporto includono la creazione di una “unità investigativa sulla neutralità†centralizzata, l'implementazione di un Codice Etico aggiornato e la relativa formazione per tutto il personale, e l'identificazione e l'implementazione di ulteriori modalità per selezionare i candidati dell'UNRWA nella fase iniziale del processo di reclutamento. Inoltre, il rapporto suggerisce di esplorare la possibilità di un monitoraggio da parte di terzi per progetti sensibili e di stabilire un quadro con i donatori interessati per garantire la trasparenza.

In questi mesi il segretario generale dell’Onu António Guterres è stato più volte attaccato dal governo di destra israeliano – che ne ha anche chiesto le dimissioni – per essersi schierato con decisione contro la strage di civili palestinesi e il suo portavoce, Stéphane Dujarric, ha detto che «Il Segretario Generale accetta le raccomandazioni contenute nel rapporto della Signora Colonna. Ha concordato con il Commissario Generale Philippe Lazzarini che l'UNRWA, con il sostegno del Segretario Generale, stabilirà un piano d'azione per attuare le raccomandazioni contenute nel Rapporto Finale. A questo proposito, il Segretario Generale conta sulla cooperazione della comunità dei donatori, dei Paesi ospitanti e del personale per cooperare pienamente all'attuazione delle raccomandazioni. Guardando al futuro, il Segretario Generale fa appello a tutte le parti interessate affinché sostengano attivamente l’UNRWA, poiché è un’ancora di salvezza per i rifugiati palestinesi nella regione».

Il rapporto finale del gruppo di revisione evidenzia che , «Le accuse di Israele contro l'UNRWA hanno provocato la sospensione dei finanziamenti per un ammontare di circa 450 milioni di dollari. L'impatto diretto delle accuse di Israele ha rapidamente ostacolato la capacità dell'UNRWA di continuare il suo lavoro. Operando esclusivamente con donazioni volontarie, l'UNRWA ha visto i principali donatori, tra cui gli Stati Uniti, annullare o sospendere i fondi per l'agenzia».

Ad aprile, gli Stati Uniti d’America hanno vietato i finanziamenti all’UNRWA almeno fino al 2025, ma altri donatori hanno promesso finanziamenti aggiuntivi o hanno ripristinato le loro donazioni.

Il nuovo rapporto raccomanda di «Aumentare la frequenza e di rafforzare la trasparenza della comunicazione dell'UNRWA con i donatori sulla sua situazione finanziaria e sulle accuse e violazioni della neutralità. Il gruppo di revisione ha suggerito aggiornamenti regolari e “briefing sull’integrità†per i donatori interessati a sostenere l’UNRWA sull’integrità e sulle questioni correlate».

Ma il rapporto conferma che L’UNRWA «Adempie al suo obbligo di garantire la neutralità delle sue 1.000 installazioni, tra cui scuole, centri sanitari e magazzini», eppure Israele ha continuato ad attaccare, bombardare, demolire e occupare le installazioni UNRWA accusandole di dare rifugio ai miliziani di Hamas. E il rapporto avverte diplomaticamente che «Le sfide in termini di sicurezza e capacità potrebbero ostacolare i meccanismi di due diligence esistenti».

La sconfessione delle accuse israeliane è totale: «L’UNRWA ha lavorato costantemente per garantire la neutralità dell’istruzione poiché fornisce istruzione elementare e preparatoria a 500.000 alunni in 706 scuole con 20.000 personale educativo, anche a Gaza, dove in questo momento tutti i bambini non possono frequentare la scuola a seguito degli attacchi che  hanno distrutto le scuole. il sistema educativo dell'enclave nel mezzo del conflitto in corso».

Indagando sulle «Critiche sostenute, principalmente da parte di Israele», sulla presunta presenza di discorsi di odio, incitamento alla violenza e antisemitismo (cosa strana, visto che anche i palestinesi sono semiti, ndr) nel materiale educativo dell’Autorità Palestinese, il gruppo di revisione ha esaminato tre importanti valutazioni e studi internazionali e due hanno individuato «Pregiudizi e contenuti non conformi, ma non hanno fornito prove di riferimenti antisemiti», Un terzo, il rapporto Eckert, ha identificato due esempi che mostravano contenuti antisemiti (sarebbe meglio dire anti-ebraici), ma ha notato che «Uno era già stato rimosso e l’altro significativamente alterato».

Pertanto, il nuovo rapporto sull’UNRWA raccomanda diverse azioni, inclusa la revisione del contenuto di tutti i libri di testo con i Paesi ospitanti, Israele e l’Autorità Palestinese. Chissà se anche a Israele verrà chiesto di rivedere i giudizio razzisti antipalestinesi e le falsità storiche contenute nei libri di testo delle scuole ebraiche ortodosse e in quelle dei coloni che occupano abusivamente il territorio palestinese?

Il rapporto dell’Independent Review Group afferma che «In assenza di una soluzione politica tra Israele e palestinesi, l’UNRWA resta fondamentale nel fornire aiuti umanitari salvavita e servizi sociali essenziali, in particolare nel campo della sanità e dell’istruzione, ai rifugiati palestinesi a Gaza, . Cisgiordania, Giordania, Libano, Siria e nel resto del mondo ed è insostituibile e indispensabile per lo sviluppo umano ed economico dei palestinesi. Inoltre, molti vedono l’UNRWA come un’ancora di salvezza umanitaria».

Ma a fine marzo, Israele ha annunciato che avrebbe  respinto le richieste dell’UNRWA di fornire aiuti nel nord di Gaza, dove, secondo l’Onu, che  la scorsa settimana ha lanciato un appello per finanziamenti di emergenza, è in corso una carestia mentre le autorità israeliane  continuano a bloccare o ritardare gravemente le spedizioni di aiuti salvavita.

Il Commissario generale dell'UNRWA Philippe Lazzarini ha commentato: « L'UNRWA accoglie con favore i risultati e le raccomandazioni della revisione indipendente sull'adesione dell'Agenzia al principio umanitario di neutralità.  L’UNRWA è fermamente impegnata ad applicare i valori e i principi umanitari delle Nazioni Unite. Le raccomandazioni contenute in questo rapporto rafforzeranno ulteriormente i nostri sforzi e la nostra risposta durante uno dei momenti più difficili della storia del popolo palestinese. Il rapporto conferma che l’UNRWA ha stabilito – nel corso di molti anni – politiche, meccanismi e procedure per garantire il rispetto del principio di neutralità. Il rapporto conferma che l’Agenzia dispone di sistemi per affrontare le accuse di violazione della neutralità, anche attraverso sanzioni disciplinari. Conferma inoltre che tra il 2022 e il 2024 l’Agenzia ha esaminato tutte le accuse esterne e ha avviato indagini quando erano presenti prove di cattiva condotta.  Salvaguardare la neutralità dell’Agenzia è fondamentale per la nostra capacità di continuare a salvare vite umane e contribuire allo sviluppo umano dei rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza mentre si trova ad affrontare una crisi umanitaria senza precedenti, e in Cisgiordania (inclusa Gerusalemme Est), Siria, Libano e Giordania.  Il rapporto riconosce la complessità del mandato dell'UNRWA in un contesto altamente politico. Formula una serie di raccomandazioni su cui l’Agenzia si impegna ad agire, in particolare nei settori relativi all’impegno con i donatori, alla governance, alla gestione e al controllo interno, alla neutralità del personale e delle installazioni, all’istruzione, ai sindacati del personale e alla cooperazione rafforzata con le agenzie delle Nazioni Unite.  L’UNRWA si impegna a lavorare per espandere il controllo interno e a impegnarsi con i partner, inclusi donatori, paesi ospitanti e altre agenzie delle Nazioni Unite, in modo costruttivo verso l’obiettivo comune di aumentare l’impatto e l’adesione ai principi umanitari. L’UNRWA continuerà a impegnarsi per fornire un’istruzione equa e di qualità, rivedendo e migliorando regolarmente il contenuto del suo programma educativo per garantire che aderisca a valori che contribuiscono alla pace, alla tolleranza e ai diritti umani. L'UNRWA sta sviluppando un piano d'azione, con una tempistica e un budget per portare avanti le raccomandazioni del rapporto. L’attuazione di alcune raccomandazioni richiederà un ampio coinvolgimento del personale e dei partner, compresi gli Stati membri, i paesi ospitanti e i paesi donatori. L’Agenzia auspica di collaborare con tutte le parti interessate per attuare le raccomandazioni».

Il rapporto arriva mentre l’esercito israeliano ha nuovamente incrementato i suoi  bombardamenti israeliani su Gaza e i livelli di violenza in Cisgiordania.  A Rafah c’è stata una s nuova strage di bambini.

La relatrice speciale dell’Onu sul diritto alla salute, la sudafricana Tlaleng Mofokeng, ha sottolineato «L’enorme costo sulla salute mentale che gli ultimi mesi e decenni di violenza hanno imposto alla popolazione assediata dell’enclave e ai professionisti medici. Immaginatevi di vivere nella costante attesa di una bomba o di uno sparo, o di essere colpito da un proiettile mentre cercate di procurarvi cibo, acqua o giocare. Questa è di per sé una forma di violenza. Prevedere che la tua vita potrebbe spegnersi da un momento all’altro e che i bambini crescano con quel livello di trauma non è normale. Ma da decenni questo è stato normalizzato per la popolazione dei Territori Palestinesi Occupati».

Nell’enclave in macerie di Gaza muore un bambino ogni 10 minuti, ha denunciato  l'UNRWA  in un nuovo appello per porre fine alla violenza e a consentire l'arrivo  degli aiuti umanitari di cui c'è disperatamente bisogno. Ad oggi, le autorità sanitarie di Gaza riferiscono che più di 34.000 palestinesi sono stati uccisi e circa 77.000 feriti negli attacchi israeliani a Gaza dal 7 ottobre. I dispersi sono migliaia. Sottolineando gli incombenti pericoli per la salute con l’arrivo del caldo primaverile, l’UNRWA ha nuovamente espresso preoccupazione per la cattiva gestione dei rifiuti e le malattie. Scott Anderson, vicedirettore senior dell’UNRWA a Gaza,  ha avvertito che l’acqua e i servizi igienico-sanitari sono molto al di sotto degli standard minimi rispetto a quello di cui la popolazione ha bisogno per mantenersi in salute.

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